domenica 8 gennaio 2017

Una vita come tante di Hanya Yanagihara

Quattro amici, New York. Malcolm ha una passione per l'architettura, nonostante la disapprovazione dell'agiata famiglia; JB tenta di esprimersi attraverso la pittura di ritratto; Willem desidera diventare attore, un mondo lontanissimo dalla sua disagiata infanzia; Jude (l'oscuro) ha una mente versatile e brillante che lo porta a spaziare dalla matematica alle legge. Il legame tra di loro è forte e nel tempo si approfondisce, nonostante le loro differenze:; JB è ambizioso e a volte cinico, Willemstad e Malcolm sono animi generosi e gentili, Jude è riservato e misterioso: è attorno a lui che ruotano le vite di tutti, è lui il perno intorno al quale ruota questo lungo romanzo, acclamato da critica e lettori con dichiarazioni impegnative. Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, tiene stretto il lettore con un buon gioco di suspence e aspettative (nonostante una dose eccessiva di ripetitività) svelando la storia di Jude un poco alla volta, lungo il corso delle 1200 pagine e nello svolgersi della vita degli amici, che seguiamo fino alla maturità avanzata. Il passato di Jude è atroce, lo si intuisce ben presto, ma è circondato da una quantità di amore che lo accompagna costantemente nella sua lotta per svelarsi e per venire a patti con la propria storia.
Un romanzo di buoni e cattivi, il Bene e il Male delle fiabe e del fantasy.
Ma questo non è Il signore degli anelli ed il patto con il lettore, stipulato a partire dal titolo, mi sembra sia di tipo diverso: Hanya Yanagihara ci sta raccontando una storia che potremmo definire verosimile. Facciamo finta di non sapere quanto lontano porterebbe un discorso del genere, per un attimo: direi che qui ci troviamo di fronte ad un problema di credibilità. Io credo all'esistenza di Castorp sulla montagna incantata, credo all'esistenza di Emma Bovary, credo ai personaggi della Munro e della Robinson, credo al fantasma che tormenta il protagonista di Mucchio d'ossa di Stephen King. Non ho creduto, invece, a buona parte dei protagonisti di Una vita come tante: non ho creduto a Willem, quasi mai; a Jude, solo in parte; non ad Harold e ad Andy; a JB concedo più credito, ad altri ancor meno. Troppo buoni, i buoni: e troppo talentuosi, troppo di successo, troppo belli. I cattivi, invece, sono semplicemente troppi per quantità. Che tutto questo sia possibile (la vita ha una fantasia infinita, si sa) non sposta il problema; non si tratta di cosa possa essere reale, ma di quanto possa essere credibile in un romanzo: questione di equilibrio della trama.
Il tema è ovviamente forte e il merito di averlo affrontato (anche bene, in diverse parti) non è cosa da niente; la questione della 'guarigione', di quando un equilibrio possa essere definito abbastanza 'sano' da diventare accettabile, è un altro punto di interesse del romanzo, anche se risente del l'eccesso di dicotomia bene/male dell'impostazione di fondo. Insomma, diversi spunti interessanti, un gran lavoro di costruzione, la capacità di appassionare; ed altrettanti difetti, che potrei sintetizzare come mancanza di profondità, eccesso di estremi e problema di credibilità.
Insomma, no, per me no. Due cose: vorrei tanto poter leggere l'articolo di Mendelsohn che ha criticato il romanzo sul New Yorker (pare unico, tra i grandi nomi della critica statunitense) - l'unica raccolta di saggi critici che ho trovato in italiano di Mendelsohn mi è piaciuta moltissimo e se avessi tempo ecc ecc.; seconda e ultima: le figure femminili, in questo romanzo, non esistono, anche le poche che ci sono. Che strana scelta. Scusate, ne una terza: le case, e i modellini di Malcolm.

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