lunedì 2 gennaio 2017

I migliori anni di Ernesto Ferrero


"È l'uomo più intelligente che abbia mai conosciuto. Un genio. Un capitalista di tipo speciale. Non accumula profitti. Accumula qualcosa di più importante, di più duraturo. Accumula prestigio."

È così che Bollati parla di Giulio Einaudi negli anni sessanta, quando Ernesto Ferrero viene accolto in via Biancamano, nella 'regione mitologica in cui cresce l'albero della felicità'. Entrare all'Einaudi, per un giovane appassionato di letteratura e di impegno civile, era come aver accesso al giardino delle delizie: in realtà era più simile a un monastero, il cui abate era l'Editore, tutti gli altri amanuensi con la testa china sui codici, una missione da compiere: cambiare l'Italia, attraverso la pubblicazione dei libri necessari. E cambiare l'Italia era l'urgenza dalla quale era nata la casa editrice, che aveva avuto tra i suoi primi creatori quel Leone Ginzburg che aveva segnato il destino (proprio e degli altri) con una morte violenta per le torture subite nel carcere di Regina Coeli, dopo i tre anni di duro esilio con la moglie ed i figli bambini; insieme a lui, il fantasma di Giaime Pintor, a vegliare sui sopravvissuti. E poi c'era Pavese, fin dagli inizi, segnato anche lui da quella morte alla quale era scampato, nel suo rifugio della 'casa in collina': solitario, scontroso, gran lavoratore, tentato dall'irrazionale al quale si guardava con sospetto: le magnifiche sorti et progressive non contemplavano gli abissi, non ammettevano zone d'ombra. Era un mondo maschile, nel quale Natalia Ginzburg si mimetizzava, anche lei china al lavoro e al suo 'lessico familiare' con il quale narrava da una diversa prospettiva lo stesso mito fondante di una intellighentja stroncata dal fascismo. In un clima di assoluta libertà, al di là di ogni gerarchia e burocratizzazione, l'Editore governava come un dio capriccioso la sua ciurma di eletti: si lavorava per il futuro, per il paese, per la gloria, per lui. Calvino se ne stava in disparte, silenzioso, un cavaliere inesistente dall'occhio attentissimo e dalla penna instancabile: maestro dei risvolti di copertina, corrispondente instancabile di giovani emergenti. Intorno a loro tutto un mondo: Monari con le sue copertine, Elio Vittorini pieno di energia, Fenoglio lassù in montagna, Gadda con le sue nevrosi.
Un mondo maschile di vacanze di gruppo, di passioni ed odi viscerali, di ombre che si aggiungono ai fantasmi del passato: il sottrarsi di Pavese, la morte precoce di Fenoglio, il dolore insanabile di Primo Levi. Ma sempre l'orgoglio di essere lì, quelli dei libri bianchi, essere gli einaudiani, gli eletti.
Un mondo lontanissimo, oggi impensabile: Pasolini che arriva con i jeans stretti a fasciare i muscoli, Philip Roth accompagnato da Primo Levi, Gadda che sbraita: adesso? me lo date adesso un premio? È tardi! Ho passato la vita ad occuparmi di ingegneria e non me ne fregava niente! È tardi, adesso!...

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