venerdì 27 gennaio 2017

La figlia dell'altra di A. M. Homes

"Era il suo incubo, aveva sempre temuto che arrivasse qualcun e mi portasse via. Sono cresciuta sapendo che era la sua paura, e sapendo in parte che non aveva niente a che fare con è che venivo portata via, ma col suo primo figlio, che era morto subito prima della mia nascita. Sono cresciuta con la sensazione di essere tenuta a distanza. Sono cresciuta con la rabbia dentro."

Quello che A.M. Homes ha in qualche modo sempre aspettato, quello che la madre adottiva ha sempre temuto, un giorno accade: la madre biologica si mette in contatto con loro, chiede di poter rivedere la figlia, abbandonata trentun anni prima, pochi giorni dopo averla partorita.
L'equilibrio che la giovane scrittrice si era faticosamente costruita, venendo a patti con la sensazione di 'essere tenuta a distanza' da parte di entrambe le sue due madri e con la rabbia di chi sente di essere sbagliato, impossibile da amare, in difetto dalla nascita, crolla di colpo. Il senso di estraniazione si fa più acuto di fronte alla presenza reale della madre su cui tanto aveva fantasticato: quella che poteva essere una regina, un'artista, una divinità scintillante, si incarna in una voce roca che cerca rassicurazioni alle proprie ansie, chiedendo alla figlia di essere adottata da lei, di essere amata ed accolta. I contatti telefonici con questa sconosciuta che l'ha messa al mondo mettono in moto emozioni profonde, accendono curiosità, aspettative, paure.

"Ogni sfumatura, ogni dettaglio significa qualcosa. È come recuperare la memoria tutta in un colpo dopo un'amnesia. Cose che so di me, cose che esistono senza il linguaggio, il mio hardware, i meccanismi di accensione del pensiero, parti di me che sono fondamentalmente, inesorabilmente me, vengono riecheggiare all'altro capo del filo, confermate come due stringhe di Dna che combaciano. Non è una sensazione del tutto rassicurante"

Il contatto con la madre porta in breve tempo alla conoscenza del padre, già sposato quando ebbe una relazione con la giovane donna che rimase incinta della protagonista: lui non se la sentì di lasciare la famiglia, lei non ebbe la forza di crescere la bambina da sola.
L'incontro con i genitori naturali si rivela un percorso difficile, spesso deludente. Ma il bisogno di sapere riemerge ancora più potente, al di là di ogni impossibile rinascita. Il memoir di A.M. Homes si trasforma a un certo punto in una caparbia ricerca genealogica, durante la quale frammenti di storie altrui, uomini e donne che possono avere a che fare con la sua famiglia d'origine ma che spesso si rivelano frutti di rami diversi, prodotti di altri alberi, apre la dimensione del privato ad un respiro più ampio, ad un interesse per le storie di tutti; alla luce di una possibile 'parentela' l'interesse illumina i particolari di una moltitudine di esseri viventi che hanno vissuto e sono scomparsi, senza che di loro vi sia più memoria. La struttura autobiografica cambia ritmo, si fa ricerca minuziosa, ossessione.
" Va avanti per mesi, a ondate. Scarto e raccolgo informazioni finché, esausta e spesso scoraggiata, mi fermo, mi ricompongo e ricomincio....Continuo a scavare di quando in quando, a spizzichi e bocconi, raccolgo i frammenti di centinaia di vite"

La ricerca diventa interesse, ma gli interrogativi più urgenti sono ancora senza risposta, raccolti in un capitolo di domande per il padre sfuggente. Nel finale la conclusione del percorso si sposta, senza preavviso, su un personaggio diverso: l'ultimo capitolo è un ritratto pieno di calore e riconoscenza per la nonna adottiva, che chiude la ricerca delle sue radici. Il viaggio tra genitori e il loro doppio, attraverso lettere, conversazioni, telefonate, incontri nei bar, ricerche in archivio si ferma ad un tavolo, un grande tavolo di legno: il tavolo della nonna, il luogo dello scrivere. Le radici sono lì, dove si è formato quello che la protagonista ha scelto di diventare, figlia di tutte le sue famiglie e delle donne e uomini che le hanno indicato la via, e nipote, poi madre, e sempre scrittrice.

Una scrittura asciutta e intelligente, una confessione onesta e diretta che ci ricorda quanto la nostra storia sia parte della nostra identità; e che sapere è sempre meglio, anche se fa male.






































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