sabato 10 dicembre 2016

Lo schiavista di Paul Beatty

'Ti ricordi quelle foto del presidente nero e della sua famiglia che camminano sottobraccio sul prato della Casa Bianca? All'interno di quegli scatti, in quel preciso istante, è solo quello, non c'è nessun cazzo di razzismo'

Ecco, si può partire da questa considerazione per capire qual è il centro pulsante de 'Lo schiavista', vincitore del Man Booker Prize 2016: gli anni della presidenza Obama hanno regalato bellissime immagini del superamento del razzismo, ma di questo si tratta, di immagini, apparenza, superfici patinate. Un uomo nero che diventa presidente è un passo avanti verso una società senza discriminazioni, è innegabile; ma i percorsi culturali che portano (se mai accadrà) ad una convivenza tra etnie e generi non giocata sui rapporti di forza sono lunghi, tortuosi e richiedono un lavoro profondo. Ispirandosi agli studi sullo sviluppo dell'identità nera, Paul Beatty riesce a costruire una trama sul tema della razzismo rimosso negli anni del politicamente corretto.


«So che detto da un nero è difficile da credere, ma non ho mai rubato niente. Non ho mai evaso le tasse, non ho mai barato a carte. Non sono mai entrato al cinema a scrocco, non ho mai mancato di ridare indietro il resto in eccesso a un cassiere di supermercato».

Questa la voce narrante, il protagonista Bonbon, nato a Dickens – ghetto alla periferia di Los Angeles - cresciuto dal padre sociologo che lo ha sottoposto fin da bambino a una serie di assurdi esperimenti sulla razza. Il  padre viene ucciso dalla polizia in una sparatoria e successivamente  il ghetto di Dickens viene cancellato dalle carte geografiche: è la soppressione silenziosa e senza spargimenti di sangue di una identità. A quel punto il più famoso residente della città – Hominy Jenkins, celebre protagonista della serie Simpatiche canaglie ormai caduto in disgrazia – non regge a questa realtà sfuggente e falsamente egualitaria e prega Bonbon di assumerlo come schiavo, nella confusa sicurezza che quella sia l'unica parte nella quale si sentirà di nuovo bene. Da qui all'idea di ripristinare la segregazione razziale il passo è breve e Bonbon si trova a guidare un esperimento che potrebbe far rivoltare il padre nella tomba.

Brillante, esplosivo, imperfetto, 'Lo schiavista' è un romanzo coraggioso e di inarrestabile energia, rabbia e riflessione. La fatica di dimostrarsi all'altezza della fiducia dei bianchi pesa e intristisce, fino a spingere Bonbon a rovesciare il tavolo,  le carte e le regole del gioco: basta con il 'sorrisetto inerte', l'atteggiamento servile e la faccia indossata nell'ansia di compiacere il potere.

'La faccia indossata ogni singolo istante in cui sei al lavoro e non ti trovi in bagno, esibita al bianco che ti passa accanto e con aria condiscendente ti batte una mano sulla spalla e dice: <<Stai facendo un ottimo lavoro. Continua così >>. La faccia che finge di essere convinta che sia stato l'uomo migliore a ottenere la promozione, anche se nel profondo sia tu sia loro sapete bene che in realtà l'uomo migliore sei tu, e che l'uomo migliore in assoluto è la donna al secondo piano'



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mercoledì 7 dicembre 2016

Madame Bovary di Gustave Flaubert


(la soddisfazione delle riletture 😊, scoprire che la bellezza di un romanzo è data, in parte, dalle tante eco che la voce del narratore fa risuonare)

Oh il futuro, orizzonte roseo dalle forme superbe, dalle nubi dorate, là dove il vostro pensiero vi accarezza, e il cuore parte in estasi e che, via via che si procede, come in effetti l'orizzonte, arretra, arretra e sparisce. Ci sono momenti in cui si crede di toccare il cielo, che si stia per afferrarlo con la mano, crac, una piana, un vallo che scende, e si corre sempre trascinati da se stessi per rompersi il naso su un sasso, affondare i piedi nella merda, o cadere in una fossa.'

Così scriveva il giovane Flaubert ad un amico e questo ripete più e più volte nelle lettere: che siamo degli esseri pieni di desiderio e di tensione verso la bellezza ma la vita è un deserto di fango e materia alla quale noi stessi, con la nostra bêtise, contribuiamo. Parola chiave di Flaubert, bêtise: si tratta di una stupidità specifica e molto diffusa, a parere dello scrittore, una sorta di ignoranza, un'incapacità di vedere la realtà per quel che è, il linguaggio dei luoghi comuni e del non-pensiero.
Madame Bovary e tutti gli altri personaggi del famosissimo romanzo partecipano di questa 'bestialità', di questa lettura del reale stupida e conformista. Emma, donna vitale e appassionata, guarda al mondo attraverso le lenti del romanticismo più sciocco: immagina cavalieri, castelli, dame eleganti e drammatiche, gondole e tessuti preziosi come scenari indispensabili al manifestarsi dell'Amore, la passione totale, il fuoco che dovrebbe divampare e incendiarla; il farmacista Homais, uomo pratico ed ottimista, si affida ad una cieca fiducia nelle 'magnifiche sorti et progressive' dell'umanità che Flaubert derideva al pari di Leopardi, in nome delle quali condurrà Charles Bovary ad una operazione pericolosa su di un povero ragazzo zoppo: punto centrale del romanzo, l'intervento che il dottor Bovary viene spinto a tentare provocherà profonda infelicità a Charles ed al ragazzo. Il più 'bestiale' di tutti sembrerebbe proprio lui, il signor Bovary, ritratto fin dall'inizio del romanzo come un ragazzo impacciato, con un ridicolo berretto e maniere da contadino intimidito: ma forse, nella sua natura mite e tranquilla, è meno colpevole di altri dell'infelicità di Emma: più di così non potrebbe proprio fare.
La storia è nota: Emma sposa il medico Charles Bovary dopo aver passato anni in convento e poco tempo a casa con il padre; non sa niente della vita, ma è un essere del desiderio: sogna di essere una moglie soddisfatta ma la realtà la delude; sogna di essere ricca ma ogni passo la porta verso la rovina economica; sogna il grande Amore ma troverà due amanti con i quali reciterà i ruoli contrapposti di dominata e dominatrice, senza che i due uomini facciano per lei quello che desidera e cioè portarla via, fuggire, evadere da quel deserto che è la vita di provincia per collocarla dove si sentirebbe a casa: nel centro del magma (...Parigi!) o nel silenzio dell'infinito ritmo universale (la notte, il cielo stellato, il movimento delle onde). Vorrebbe essere un uomo, Emma Bovary, per non dover dipendere da altri e poter prendere in mano il proprio destino; chissà, cosa ne avrebbe fatto, in quel caso, di tanta ambizione...
Emma ci irrita e non c'è nulla in lei che susciti l'empatia del lettore: recita, mente, è fredda e sprezzante, non riesce neppure ad amare la figlia. Eppure, la trappola in cui la sua vita si trasforma, la sua lunga e dolorosa agonia (Flaubert soffrì di dolori terribili, mentre la scriveva), ci ricordano le nostre trappole e i nostri deserti. La voce di Flaubert ci incanta, nel suo mantenersi in bilico tra distanza e partecipazione, nel suono che produce l'intersecarsi della voce di Emma con il quella del suo burattinaio, che la deride e ride di sé e di tutti noi per la nostra implacabile sete: desiderio puro per l'impossibile nel deserto della vita.
Madame Bovary è prima di tutto 'stile', perché questa era la scommessa di Flaubert che lavorò al testo quasi cinque anni, scrivendo e riscrivendo: tentare una prosa che avesse in sé il ritmo della grande poesia del passato e insieme uno stretto rapporto con il 'reale'. La ricerca della forma, all'opposto della bêtise, ci salva dal vuoto del pensiero e del linguaggio ed è l'unica trascendenza possibile per il cinico Flaubert.