martedì 3 gennaio 2017

Se questo è un uomo di Primo Levi


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Ho letto ormai molte volte 'Se questo è un uomo'; almeno tre volte dalla prima all'ultima riga, ma spesso a brani, a capitoli. Anche perché mi capita sempre di leggerne alcune pagine in classe, a voce alta. Ogni volta mi tocca profondamente  per l'altissimo livello di intensità poetica e di misura nel narrare l'orrore, di umanità che tiene insieme cuore e mente e non abdica mai, neanche un momento dal compito della conoscenza. È il canto di un uomo che riesce a mantenersi integro, vigile e aperto nella condizione più disperata che ci sia (no, non la più disperata, in realtà: era senza speranza, questo sì, ma non aveva figli per i quali straziarsi, ad esempio). La lettura a voce alta, per un giovane pubblico, amplifica l'emozione e riempie lo spazio dell'aula di una condensa palpabile, che fa calare un silenzio assorto e pieno di echi: quando chiudo il libro i ragazzi rimangono immobili e di solito chiedono: ancora, legga ancora.

Oggi ho riletto, da sola, il famoso brano sul canto dantesco dedicato a Ulisse. È una delle pagine più belle della letteratura italiana; racconta di come, durante una delle  incombenze più fortunate che si potessero ottenere in lager (andare a prendere il rancio a un chilometro di distanza) Primo Levi e l'amico francese Jean si scoprano liberi di parlare e desiderino cogliere ogni istante di quel breve tempo loro concesso: il giorno è  tiepido, si sbattono le ciglia allo splendore del mattino, i Carpazi coperti di neve sono all'orizzonte. Jean vorrebbe imparare l'italiano e Primo decide che certo, subito, bisogna cominciare subito, prima che i minuti volino via e finisca questo spazio di libertà che potrebbe essere l'ultimo. Da dove cominciare, per insegnare la nostra lingua al meglio in un tempo così breve? Dall'Inferno di Dante, da dove altro? Non c'è tempo per apprendere le formule di saluto (buongiorno, arrivederla, grazie mille) e neppure le domande utili per i viaggi (quanto costa? a che ora parte il treno?). Non ci saranno altri viaggi, per loro, e neppure occasioni per mostrare buona educazione.
Mentre Primo si chiede quale brano insegnare all'amico  il tempo scorre veloce, impietoso. E allora, Primo decide che se vuole regalare l'italiano a uno straniero in un battito d'ali, che il dono sia un vertice, sia un mondo, sia quanto di meglio gli si possa offrire: che sia Ulisse.
La mente cerca in affanno quei versi, ne ritrova il ritmo e prova a tradurre, a far capire chi era Dante, cos'è la Divina Commedia, la similitudine della fiamma; Primo Levi si dispera, non ricorda tutto il canto, ed è così difficile spiegare tutto in pochi minuti tempo: 'quante cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino'.
Ma è una tale gioia ricordare quel verso, 'misi me per l'alto mare aperto' e rendersi conto che la stessa costruzione è ripresa in un verso successivo; una tale gioia che è incredibile averla trovata proprio nel lager. Capire qualcosa di nuovo, una delle gioie più profonde che si possano provare, è che questo possa accadere ancora, anche nel momento in cui non si è più niente: questo il miracolo, questa la vittoria; essere vivi, ancora.

Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.'

Recita per Jean ed è come se fosse una nuova scoperta per entrambi: ' come se anch'io lo sentissi per la prima volta' scrive Levi 'come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono'.
Primo e Jean, con le stanghe della zuppa sulle spalle, osano ragionare su quell'Ulisse dantesco che ha osato andar oltre i limiti che gli erano imposti dalla sua condizione: sono in quel momento un solo uomo, tutti e tre, nella stessa capacità di volare alto attraverso la mente, andare oltre, tentare il balzo Lo stesso uomo che risponde con gioia allo squillo di tromba, alla musica della poesia che ci libera dalle nostri prigioni.
Fino a che è possibile, fino a che non ci strapperanno da quella visione, dal sogno, dalla vita.
 'Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso' .

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