lunedì 2 gennaio 2017

Città aperta di Teju Cole

Teju Cole, classe 1970, è uno scrittore, fotografo e storico dell'arte nigeriano, naturalizzato americano; vive a New York, dopo essere cresciuto in Nigeria. Tra i suoi fotografi preferiti Cartier Bresson e Luigi Ghirri, i suoi artisti di riferimento vanno da Caravaggio a Mahler a Fellini. 'Città aperta' è un libro difficile da definire, al confine tra romanzo, saggio e diario. L' impatto ricorda molto Sebald, anche se la scrittura è più ariosa e la flanêrie più digressiva: si procede per percorsi più aperti, spesso si guarda il cielo, il mare, il germogliare dei fiori.
Il protagonista delle peregrinazioni è un nigeriano di madre tedesca, Julius, che lavora in ospedale per il dottorato in  psichiatria; giovane uomo coltissimo e solitario, trascorre il tempo libero camminando ed osservando luoghi e persone, ascoltando musica, visitando musei, parlando con sconosciuti incontrati nel suo vagabondare tra le strade di New York. Guarda, riflette, ricorda; non ci racconta tutto di sé stesso, il suo percorso non è la ricostruzione di una storia individuale. Il suo sguardo è rivolto più all'esterno, agli altri, al mondo intorno a lui, nonostante il titolo della seconda parte sia 'Ho esplorato me stesso'.
L'apertura è sugli uccelli migratori e una delle chiavi di lettura più evidenti del libro è proprio la migrazione degli esseri viventi, gli spostamenti da un luogo all'altro, che siano camminate solitarie per la città o lunghi viaggi alla ricerca di un luogo dove vivere: molti degli incontri di Julius hanno a che fare con questioni di identità e di etnia, di colore della pelle, di lingua ed abbigliamento. Con un certo fastidio per le fratellanze stereotipate del nero che chiama fratello gli altri neri Julius è più portato a cercare le individualità: in una riflessione sulla salute mentale osserva che dal postulato che la maggioranza delle persone sia sana di mente consegue che ci sia una minoranza di 'pazzi'; ma tra quei pazzi ci sono categorie e individui lontano gli uni dagli altri quanto lo sono dai 'sani'. Una chiara richiesta, una forte l'esigenza di essere riconosciuto e visto come persona, individuo complesso che sente decisivi per la propria storia tanto la musica classica europea quanto la cultura nigeriana, le sinfonie di Mahler più degli accennati monoliti di Yorubaland.
Le radici personali sono ricercate ma senza troppa convinzione: un viaggio in Belgio (e qui davvero immaginiamo che possa incontrare Austerlitz e che comincino a parlare di re Leopoldo) sembra indirizzarlo verso il ramo materno, tedesco, ma gli incontri in qual paese di pioggia saranno altri, in particolare un giovane nero e le sue teorie tra il marxismo e la religione.
Il punto di partenza e di ritorno rimane comunque New York, con il vuoto lasciato dalla scomparsa delle torri, con il mare che la circonda e che sembra dimenticato, con tutto il 'rimosso' di una civiltà: i corpi, soprattutto, sia quelli di un cimitero di neri sgombrato senza pensiero per edificare, sia quelli delle vittime dell'11 settembre, sia quelli vivi e nascosti nei centri di detenzione per immigrati senza permesso, sia il corpo di una donna che Julius ha forse dimenticato, ma come ha potuto farlo?

'L'atrocità non è nuova, né agli esseri umani né agli animali. Ma nella nostra epoca è particolarmente ben organizzata, inflitta con recinti, treni speciali, filo spinato, liste, campi di lavoro, gas. E ultimamente con l'assenza dei corpi. '

E alla fine forse Teju Cole ci racconta proprio di quanto possiamo essere ciechi, sordi, essere pazzi, dimenticare, rimuovere, ma anche capaci di entrare nelle stanze buie della mente cercando di fare meno danno possibile, con i pochi strumenti che abbiamo. E qualche volta guardiamo in alto, ci sono stormi di uccelli, stelle luminosissime, uomini che volano con i loro paracaduti bianchi: e tutt'intorno, sulla terra, tra le ossa dimenticate e le macerie rimosse c'è la vita, in ogni suo singolo essere, uccello, uomo, donna, ape.

Una lettura ricchissima di spunti, che affiorano lentamente e che richiederebbe riflessioni più lunghe: ma qualche frammento, intanto, ho cercato di salvarlo. Un ultimo, forse il più importante: è un libro colmo di amore per la cultura, in ogni sua forma; una dichiarazione dell'amore che da tante parti nel mondo hanno per la cultura europea. Un amore così forte che sentirsene traditi (non è il caso di Julius)può bruciare di una rabbia furiosa.

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