martedì 29 settembre 2015

Chi ti credi di essere? di Alice Munro

Botte da re. La promessa arrivava da Flo. Adesso te le prendi, e saranno botte da re.

Indugiando sulla lingua di Flo, l’espressione si caricava di decorative gualdrappe. Rose aveva un bisogno di immaginare le cose, di pedinare assurdità, che superava anche quello di tenersi lontano dai guai, perciò, invece di prendere la minaccia sul serio, si perdeva a rimuginare: ma come saranno le botte da re? Si inventò un viale alberato, una folla di spettatori eleganti, dei cavalli bianchi, degli schiavi neri. Qualcuno si inginocchiava e il sangue schizzava copioso come stendardi al vento. Una cerimonia selvaggia e stupenda. Nella vita vera neanche si avvicinavano a tanto splendore; c’era giusto Flo che tentava di conferire all’evento un’aria di rincresciuta ineluttabilità. Rose e suo padre invece varcavano subito la soglia del presentabile.

Un incipit perfetto per una raccolta di racconti (legati tra loro a formare la storia di una vita) che trova un perfetto equilibrio tra scorrevolezza, ricercatezza lessicale, attenzione al dettaglio, aperture metaforiche, vita individuale e storia collettiva. Rose è una ragazzina dell'Ontario cresciuta dal padre e dalla matrigna Flo, nella campagna canadese ai tempi della grande Depressione. Un ambiente molto povero, materialmente e culturalmente, dal quale ben presto Rose vuole fuggire, alla ricerca di un mondo più vicino a lei per sensibilità. Riesce ad allontanarsi dal paese grazie allo studio e ad un marito; il matrimonio le conferisce uno status di donna indipendente e benestante, molto prima di quanto avrebbe mai fatto lo studio. Non è un matrimonio felice ma grazie ad esso Rose diventa madre, lavora, conosce ambienti culturalmente più stimolanti: gli anni settanta si avvicinano e il desiderio accende le vite dei giovani di tutto il mondo occidentale. Ogni passo di Rose la porta sempre più lontano dal “topos” in cui è cresciuta; trasformare un'adolescenza povera in materiale per aneddoti divertenti è il suo modo per rimarcare il distacco dal passato ma anche per segnare una distanza rispetto ai nuovi amici, che sono intellettuali e benestanti dalla nascita. Rose si diverte a scandalizzare gli anticonformisti riuniti alle feste raccontando di latrine inaffrontabili e di violenze incestuose, di botte da re e furti di caramelle: non ero infelice, risponde di fronte ai volti che passano dal riso alla commiserazione.
Imparare a sopravvivere, non importa a costo di quante precauzioni e vigliaccherie, di quali paure e brutti presentimenti, non è la stessa cosa che essere infelici. E' troppo interessante”.
Il matrimonio non funziona, come era chiaro fin dall'inizio, fin dal loro primo incontro nel quale il giovane Patrik si innamora di lei immaginandola come la “fanciulla in ambasce” che ogni valoroso cavaliere ha il dovere di proteggere. Ma Rose è una ragazza in difficoltà intelligente, piena di vita e di desiderio e il suo bisogno di “pedinare assurdità” supera sempre “quello di tenersi lontano dai guai”.
Rose si guardava allo specchio e pensava: moglie, fidanzata. Che belle parole dolci. Come potevano adattarsi a lei? Era tutto un miracolo; tutto uno sbaglio. Era quello che aveva sognato; non era quello che aveva desiderato”

Il percorso dei racconti si chiude con il ritorno a casa, per occuparsi dell'ormai anziana Flo che deve essere portata in una casa di riposo. E' un ritorno che chiarisce, dopo tanto tempo, che per quanto Rose sia andata lontano (è divorziata, lavora come attrice per il teatro e la tv, vive sola ma ha avuto diversi amanti) il suo “nocciolo di onestà” è ancora lì, nell'impossibilità di tradurre in parole la sensazione che prova nello stare vicina ad un vecchio compagno di classe. “Che cosa poteva dire di Sé e di Ralph Gillespie, se non che sentiva vicina la vita di lui, più vicina di quella di uomini che aveva amato, una tacca sopra la propria?”

Alice Munro, attraverso i flussi e riflussi della marea dei ricordi, ripercorre la storia di una donna di bassa estrazione sociale: non sarebbe stata la stessa storia, se fosse stata la storia di un uomo o di una donna più ricca. Generi e classi sociali esistono e la Munro sa mostrarci tutto, questo e tutto il resto che ci accomuna. 

venerdì 25 settembre 2015


 “La dipendenza non è bella dopo i vent'anni. Una riservatezza da ostrica era quanto ci si aspettava da chi aveva i suoi anni, una riservatezza crescente che sarebbe culminata nella dignità della morte. Dopo i quarant'anni, il lutto, la malattia, lo spavento e le conseguenti richieste di attenzione erano cose mal tollerate. Si supponeva che uno a quell'età avesse ormai trovato il suo posto nel mondo, e, se così non era, il mondo ignorava quel fallimento, lo relegava nell'angolo che a suo avviso gli competeva.”
Il lungo sguardo, di Jane Elizabeth Howard, racconta a ritroso, attraverso cinque atti che vanno dal 1950 al 1929, l'educazione sentimentale di una ragazza introversa, intelligente e abbandonata a se stessa da una madre infantile ed un padre assente. Il suo primo amore le fa aprire gli occhi su una realtà di menzogne e silenzi e così, priva di qualunque appiglio emotivo, si trova in balia di un affascinante e misterioso marito, manipolatore a tratti crudele ma capace di trattenerla a sé per una vita intera.
Ma il romanzo inizia dalla fine, quando Antonia, oramai raggelata nell'autocontrollo disciplinatissimo che si è imposta negli anni, deve affrontare contemporaneamente le nozze del figlio, la gravidanza della figlia e l'abbandono del marito. Ed è proprio Mr Fleming il personaggio centrale di questa prima parte del romanzo: affarista di successo, “concentrato su se stesso con una sorta di ferocia mirata”, ha coltivato una sensibilità raffinata e nello stesso tempo ha accumulato denaro e conoscenze il cui vero scopo è esercitare il proprio potere sulle persone. 
Con una scrittura impeccabile e una distanza a tratti glaciale l'autrice racconta dal punto di vista della moglie un matrimonio complesso nel quale desiderio, odio, rabbia e dipendenza si mescolano e si alternano. Il personaggio di Antonia si aggiunge alla lunga lista di donne intelligenti che devono lottare per affermarsi, spesso proprio contro uomini che dicono di amarle mentre tentano di controllarle: la crudeltà di Mr Fleming ricorda Osmond di Ritratto di signora, David Melrose di Edward St Aubyn, il marito di Colette de Il mio noviziato.
 Lo sguardo di Elizabeth Jane Howard ripercorre a ritroso a partire da quella infelicità la storia di Antonia, fino a narrare le illusioni della giovane Toni ancora innocente. E a partire dalla fine comprendiamo meglio quello che Antonia è diventata, sviluppando una difesa orgogliosamente raffinata, reazioni composte, abbigliamento curato, schermaglie verbali come opere d'arte: dentro è il caos, la rabbia che a volte diventa davvero distacco.
Non è un romanzo facile, il freddo è a tratti feroce e respingente: ma l'onestà priva di luci diffuse con la quale Antonia guarda se stessa e alle relazioni apre squarci su personalità difficili e fuori dalle norme, anche grazie ad un uso delle parole preciso, intelligente ed affilato come una lama.
Si dice che l'opera dovrebbe avere vita a sé, distaccarsi dall'autore: ma in questo caso è impossibile: troppo noti il terzo marito di E.J. Howard, lo scrittore Kingsley Amis e il famoso figliastro, Martin Amis. E comunque, per tutta la vita, E.J. Howard continuò a scrivere e riscrivere storie su madri in competizione con le giovani figlie, uomini che necessitano di un palcoscenico, donne orgogliose ma dipendenti dallo sguardo maschile: le sua storia, le sue famiglie. Le sue passioni, mai sfociate in una serena                                                                                                           convivenza.

“Eccolo, dunque: il punto di non ritorno. L'istante estremo in cui una figura distante che viene verso di noi diventa riconoscibile, ci vede e viene vista; il punto da cui non si recede e bisogna per forza incontrarsi, soffrire o godere o manifestare la reciproca indifferenza. Lui era venuto lì per incontrarla e, nell'istante in cui si erano separati dalla folla, l'incontro era avvenuto. Quella notte si svegliò, e tutta la sua vita sembrò culminare in quel risveglio, tutto il senso dell'esistenza embrò concentrasi nel suo essere profondamente e irrevocabilmente innamorata”.

Elizabeth Jane Howard tra Martin e Kingsley Amis

martedì 22 settembre 2015

Ricordami così di Kevin Powers

Justin Campbell scompare nel nulla all'età di 11 anni. Una tragedia che coinvolge una famiglia, una cittadina, un intero stato. Le ricerche sono meticolose, determinate, piene di speranza e di paura. Lentamente però le forze vengono meno e la famiglia deve cercare un equilibrio nella nuova vita, la vita dopo-la-scomparsa: ma è un equilibrio allucinato e senza pace quello che la madre Laura trova nell'accudire una delfina al laboratorio marino e che il marito Eric cerca nella relazione con la moglie di un amico; anche il figlio minore è costretto a cercare una nuova stabilità, nella continua alternanza di identità che lo trasforma di continuo da “il fratello di Justin” a “figlio unico, ormai”: la sua passione per lo skate è l'immagine esatta della continua ricerca di una nuova posizione per non cadere, nonostante l'aumentare delle difficoltà.
Ma Ricordami così non ha il suo perno nella scomparsa, bensì nel ritorno di chi si credeva perduto: Justin è uno dei “revenants” che vanno di moda ultimamente, un fantasma che all'improvviso è di nuovo tra di noi, uguale a se stesso ma profondamente sconosciuto. La sua apparizione misteriosa in un mercato della cittadina, dove sta acquistando dei topolini per sfamare il suo serpente , rimarrà l'unico indizio esplicito di una diversità spaventosa, soprattutto perché non detta, con la quale i Campbell dovranno fare i conti; insieme alla consapevolezza, che diventa colpa, del fatto che Justin è sempre stato vicino e loro non sono riusciti a trovarlo. A volte il mondo è piccolo, dice la madre a un certo punto. Solo per alcuni, risponde Justin, per altri è troppo grande.
Mi sono chiesta: perché? Perché l'autore ha scelto questa storia? Perché, prima di questa c'è stato il successo di Les revenants? Per un corto circuito di lettura( ho appena letto un romanzo sulla difficoltà di ritornare dall'Iraq, Yellow birds) Justin mi ha fatto pensare ai ragazzi che tornano dalle guerre, manichini identici all'originale ma devastati all'interno. Anche per loro a casa la famiglia si chiede quali orrori avranno vissuto; anche con loro spesso prevale il silenzio.Ma il caso di Justin diverso(in parte): non se n'è andato, l'hanno portato via, come gli “indiani” rapivano i bambini e a volte li facevano crescere con loro (e qui mi viene in mente Il figlio di Meyer). Qualcuno non tornò mai più, altri faticarono a trovare una loro identità, per sempre sospesi tra i due mondi. E' di questo che parla, il romanzo: di identità che smottano continuamente, di silenzi che portano i protagonisti alla deriva, di una enorme difficoltà a sentire che il mondo, intorno, è abbastanza stabile. Chissà perché uno scrittore americano, colto e benestante, ha bisogno di                                                                       raccontarci proprio questa storia.

(e con questo mi prendo una pausa dalle famiglie statunitensi: vado alla ricerca di una Dona Flor, di un Maqroll il Gabbiere, di una zia Giulia con nipote scribacchino)





domenica 13 settembre 2015

Il cielo è dei violenti di Flannery O'Connor

Flannery O'Connor, Il cielo è dei violenti, 1960 (Einaudi 1965 e di nuovo 1994)

"Sapeva di avere la stoffa dei fanatici e dei pazzi, e di esser sfuggito al suo destino quasi con la sola forza d
i volontà. Si teneva ritto su una linea sottilissima, tra la pazzia e il vuoto"

Il vecchio Mason è morto e il giovane Francis Marion Tarwater si trova a decidere della propria vita, barcollante sotto il peso dell'eredità che ha ricevuto. Il prozio l'ha cresciuto nella folle convinzione di essere destinato a diventare un profeta; gli ha lasciato anche due incarichi: seppellirlo il giorno in cui terminerà la sua esistenza terrena e battezzare il piccolo Bishop, figlio del maestro Ryber, nipote del vecchio e zio di Tarwater. Il bambino è nato con un grave ritardo mentale e secondo l'opinione del vecchi Mason, la mano di Dio l'ha voluto così proteggere dalla razionalità sulla quale il maestro Ryber ha fondato la propria vita, dopo aver passato l'infanzia con il nonno ed aver rifiutato una vita di folle fanatismo.
Il giovane Tarwater non seppellisce il vecchio, ribellandosi così al primo dei compiti che gli erano stati affidati e fugge a casa del maestro Ryber. Cerca aiuto? E' preda dell'ossessione trasmessagli dal nonno e vuole battezzare Bishop. E' un ragazzino allo sbando, scontroso, arrabbiato, diffidente. Il maestro lo accoglie come un'occasione: un figlio “intelligente” da crescere nell'equilibrio e nella razionalità. Ma Tarwater sembra non ascoltarlo e non perde occasione per mostrare il suo disprezzo per lo zio e per il piccolo Bishop. Il maestro è tutta teoria, pensa Tarwater, ma io so agire. L'azione ci sarà, terribile e altamente simbolica della fede e della sfida del ragazzo; ma la vita lo costringerà a subire lui stesso violenza e da questa distruzione nascerà qualcosa di nuovo.

Tre uomini soli in lotta tra di loro e con sé stessi; e un bambino, gravemente ritardato, oggetto delle loro apprensioni e proiezioni. Un libro durissimo, una storia agghiacciante, una follia così lontana che fatico a comprendere. Ma una profondità che, condivisa o meno, non si può non ammirare: c'è poco da fare, i livelli esistono e qui siamo parecchio al largo. Non essendo credente e conoscendo pochissimo di teologia ho sicuramente capito metà della metà di quello che racconta Flannery O'Connor, fervente cattolica (così viene definita), che ha vissuto nella zona sud degli Stati Uniti chiamata “cintura della Bibbia” per la prevalenza di cultura cristiana evangelica. Prima dei trentanni le viene diagnosticata una malattia autoimmune degenerativa, della quale morirà prima dei cinquantanni. Una vita solitaria in una fattoria dove allevava pavoni, sua grande passione. Una vita di studio e scrittura e rapporti epistolari. Un altro mondo, insomma, lontanissimo..

Yellow birds di Kevin Powers

"Mentre dormivamo, la guerra sfregava a terra le sue mille costole in preghiera. Quando arrancavamo, sfiniti, i suoi occhi erano bianchi e spalancati nel buio. Se noi mangiavamo, la guerra digiunava, nutrita dalle sue stesse privazioni. Faceva l'amore e procreava e si propagava col fuoco"

Gli yellow birds del titolo sono quelli di una filastrocca militare americana, scandita dai soldati durante la marce: “un uccellino giallo/ con il becco tutto giallo/ se ne stava posato/ sul mio dav
anzale./ L'ho fatto avvicinare/ con un pezzo di pane/ e poi gli ho sfondato/ la fottuta testa”.
Perché in guerra, e questo è un libro sulla guerra americana in Iraq, quello che conta è sopravvivere e non c'è altro modo per riuscirci se non scavare fino in fondo a se stessi e “cercarsi dentro la vena bastarda”, come insegna il sergente Sterling, che è l'emblema di colui che ce la farà, a riportare a casa la propria vita, pur diventando un po' psicotico, come bisogna fare. Sterling è quello che urla quando è il momento, scuote i ragazzi dagli attimi di vuoto, spara per primo e se li tira dietro tutti, a spaccare quelle fottuta testa, poco importa se sia un canarino, un cane, un bambino.

Ma gli uccellini gialli sono anche quelli del padre del giovanissimo Murph, diciotto anni appena, che racconta di quando suo padre aprì le gabbie e gli animaletti, dopo un breve momento di inebriato svolazzare, tornarono a posarsi nelle uccelliere: perché questo è un libro sul ritorno dalla guerra e sulla difficoltà ad uscire dalla prigione insensata nella quale hai vissuto per qualche tempo.
Bartle sopravvive ma ritorna come un fantasma: rimane a letto per giorni interi, trascina i piedi, non si lava, non vuole vedere nessuno. Se potesse addormentarsi per sempre lo farebbe, ma che non gli chiedano un atto di volontà: se il passato è un collage di frammenti senza senso che invade la tua testa ogni momento diventa difficile prendere decisioni.
Ha sbagliato, Bartle, e comincia a scontare la sua condanna ben prima che lo Stato venga a pretendere il dovuto risarcimento. Ha sbagliato, prima di tutto, perché si è arruolato ed è finito in Iraq e “ non si rimedia al fatto di aver ucciso delle donne, o di aver guardato uccidere delle donne, o di aver ucciso degli uomini e avergli sparato alle spalle, e poi aver sparato ancora, più di quel che serviva per ucciderli ...”; ha sbagliato perché ha promesso alla madre di Murph di tener d'occhio il ragazzo e di portarlo a casa sano e salvo e non si fanno promesse del genere, nessun legame è consentito in quel mondo rovesciato, Murph ha cercato di sfuggire alla disumanità e questo lo ha reso debole, lo ha ucciso; Bartle ha sbagliato ancora, ha scritto una lettera, fingendosi Murph, alla signora LaDonna, postina e madre di Murph, la quale ha capito che qualcosa non tornava e ha cominciato a fare domande sulla morte del figlio.
Kevin Powers è stato davvero in Iraq; si era arruolato, a diciassette anni per avere maggiori possibilità di studio: i suoi voti non erano abbastanza alti per ottenere una borsa di studio. Era uno con la testa tra le nuvole, un poeta che si è ritrovato (colpevolmente) a partecipare ad una guerra, alla quale, anche nel romanzo, nessuno sembra trovare un senso. Ma Kevin Powers non si perde come Murph, né diventa una macchina da guerra come Sterling: assomiglia a Bartle, trova una misura tra le due follie e rimette insieme i pezzi, grazie a un lirismo potentissimo mescolato a una durezza che non chiede sconti a nessuno. E' un vero peccato che siano nate dalla barbarie pagine di una bellezza che a tratti diventa una visione.
“E io vidi infine il suo corpo disfarsi all'imboccatura del golfo, dove le ombre delle palme da datteri  si allungavano come tende scure sulle sue ossa, ora sparpagliate, trascinandolo nel mare, verso una schiera di onde che si infrangono all'infinito mentre lui vi entra”.

Middlemarch di George Eliot

George Eliot è una delle scrittrici più famose di tutti i tempi e Middlemarch il suo romanzo più conosciuto. Siamo in Inghilterra, nella prima metà del XIX secolo e la narrazione intreccia le vite di uomini e donne alle prese con l'amore, il denaro, le ambizioni, le passioni: insomma, con la vita. Il ritmo è quello lento tipico del genere, l'autrice spiega tutto senza impliciti e l'intreccio appassiona come una telenovelas. Un personaggio di donna, Rosamund, descritto meravigliosamente ed alcuni momenti di grande capacità introspettiva.  Lunga vita ai classici, non deludono quasi mai.

Dora Bruder di Modiano

Il commento di Patrick Modiano, quando l'anno scorso gli comunicarono che aveva vinto il Nobel, fu una frase tipo: ma che strana scelta. Non deve essere un personaggio comune, lo scrittore di Dora Bruder, lo si intuisce anche da quel poco che affiora dal racconto. La giovane Dora, scappata di casa minorenne e poi di nuovo scomparsa in un campo di sterminio, non è la protagonista del libro a lei intitolato. Dora è una figura che si cerca e non si trova, un'ombra che ha lasciato impercettibili tracce del suo passaggio per le strade di Parigi e nelle memorie del mondo. E Modiano è uno scrutatore di tenebre e di vuoti, che conduce una personale e ossessiva ricerca di ciò che è stato senza lasciare impronta. Lontano, senza dubbio, dagli abili confezionatori di narrativa che dilagano.

La ferocia di Nicola Lagioia

Il titolo mi è piaciuto, la copertina abbastanza ed anche il nome dell'autore non suona affatto male. La sinossi, perfetta e accattivante. Una giovane donna, figlia di una occasione famiglia di costruttori baresi, viene trovata nuda e coperta di sangue sull'autostrada Bari-Taranto. Un camionista se l'è vista sbucare all'improvviso nel buio e non ha potuto evitare di investirla. Inizia da questa scena la costruzione a ritroso della vita di Clara e della famiglia Salvemini. La ferocia del titolo è l'istinto animale di sopraffazione e sopravvivenza, che domina le vite dei personaggi che si muovono circondati da una natura violenta e violentata (un grazie a Lagioia per aver speso parole sulla devastazione del Gargano). E ognuno di loro trova strategie differenti, ma sempre distruttive, per sopravvivere o vincere morendo.
Non tutto funziona, la scrittura a volte è pesante, ma ho apprezzato molto l'intento.

La sposa di Covacich

Non è un romanzo e forse neppure una raccolta di racconti. Qualcuno l'ha definito un concept album (se ricordassi dove l'ho letto ...) e in effetti è qualcosa del genere. Narrazioni e riflessioni legate da fili conduttori evidenti (in particolare le figure della sposa, la maternità, i figli vissuti come trofei in un tempo di sterilità...). Lo definirei interessante, nel senso che mi interessano alcuni suo percorsi di riflessione. Premio speciale per la copertina: le scarpe di Pippa Bacca,  uccisa in Turchia durante un viaggio - performance vestita da sposa.

Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati



Non è un romanzo, nemmeno una biografia, né una saga familiare ma un po' tutte queste cose insieme. Il filo conduttore principale è la vita di Leone Ginzburg dal suo primo e decisivo no al fascismo (24 anni, un ragazzino già docente all'università) fino alla sua morte in carcere. Intorno a lui la moglie Natalia, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, la guerra, le bombe e i nonni dell'autore. Se volete un buon riassunto della seconda guerra mondiale trovate anche quello e scritto bene. Ha il pregio di narrare ancora una volte le storie della resistenza e di trasmettere un grande amore e un profondo rispetto per Leone Ginzburg.


Trilogia della città di K di Agota Kristof

E poi bisogna tornare alle grandi narrazioni e rileggerle. La trilogia della città di K è una costruzione geniale, un mondo dentro al quale ci si perde (ma con un po' di fatica alla fine ci si ritrova). Consiglio a tutti almeno la lettura del primo libro (Il grande quaderno) una favola nerissima per una formazione insolita: due gemelli simbiotici e molto intelligenti immersi nella guerra, nel lutto, nella perdita. Una nonna che sembra una strega, scheletri tenuti in camera, esercizi di sopravvivenza al dolore e al silenzio. Una lettura cupa che trasmette il senso della glaciale freddezza del dolore.

Nemesi di Philip Roth

Nemesi era la dea greca della giustizia compensatrice, colei che si assicurava che ci fosse una equa ripartizione, tra i mortali, di gioie e dolori. Qui il prezzo della distribuzione lo paga un giovane insegnante di ginnastica, serio e responsabile quanto il suo progenitore letterario, lo Svedese di Pastorale Americana. Alla soglia di una vita adulta ricca di soddisfazioni i dardi del male (nello specifico una delle violente epidemie di polio che colpirono Europa ed USA durante e dopo la seconda guerra mondiale) colpiscono i ragazzini del campo estivo gestito dal protagonista. Non ha potuto arruolarsi perché miope ed avrebbe l'occasione di rendersi utile in città, ma...
Roth ci racconta un'altra volta la storia di un giusto colpito dal Fato, da Dio, dal caso.

Amore, ecc. di Julian Barnes

Non lo consiglio a tutti, soprattutto se siete stanchi e avete troppo caldo. Oliver e Stuard possono irritare, anzi, Oliver irrita moltissimo: un'intelligenza brillante, un'eloquenza da far girar la testa, un amore per la parola che incanta ma lascia sempre il dubbio di un possibile vuoto da nascondere. Per fortuna Claire è una donna pratica, non si lascerà incantare ...
Lui, lei, l'altro (il migliore amico di lui): Barnes sembra scommettere su un cliché per dimostrare che comunque lui può scrivere qualcosa di nuovo. A me è piaciuto e in qualche momento, nonostante l'ironia, il gioco e il grottesco, mi ha commosso. Poi ho letto che la moglie dell'autore ... No, ve lo dico un'altra volta. 😜

Il grande male di Simenon

Leggere Simenon non è mai un rischio: si ha la certezza di trovare una scrittura perfettamente pulita, senza fronzoli né ammiccamenti, capace in poche righe di trasportarti nei giorni della mietitura nella campagna francese attraverso un'attenzione eccezionale per i rumori, i piccoli gesti quotidiani, gli odori, gli oggetti di una cucina o di un salotto. Quasi sempre le sue storie raccontano gli istinti più "bassi" dell'umanità: l'avidità, l'orgoglio senza senso, il bisogno di possesso e controllo, l'invidia e la stupidità.
Il grande male racconta di una donna-padrona indurita dalle difficoltà al punto da essere disposta a qualunque cosa per assicurare alle proprie figlie la sicurezza economica, anche all'omicidio. Il prezzo da pagare sarà altissimo, ma la vedova Pontreau continuerà ad indossare i guanti prima di uscire da casa.

Tutta la luce che non vediamo di Anthony Doerr

"L’esistenza di ognuno di noi comincia con un’unica cellula, più piccola di un granello di polvere. Molto più piccola. Suddividiti. Moltiplicati. Somma e sottrai. La materia cambia padrone, gli atomi affluiscono e defluiscono, le molecole ruotano, le proteine si legano, i mitocondri emanano i loro decreti di ossidazione; in principio erano microscopici sciami elettrici. I polmoni il cervello il cuore. Quaranta settimane dopo, seimila miliardi di cellule s’incuneano nella morsa del canale del parto di nostra madre, e noi strilliamo. Dopo di che il mondo inizia a darci addosso."

Alla fine sì, nonostante sia in parte una fiaba (e non me l'aspettavo), nonostante ci sia un po' di ruffianeria a buon mercato (la bambina cieca con le lentiggini, il bambino con i capelli color della neve), nonostante sia lungo e in parte scontato.
Ma alla fine coinvolge e a tratti commuove la storia di Maurie-Laure e soprattutto di Werner, ragazzina francese cieca dall'età di sei anni e orfano tedesco: il loro percorso si svolge parallelo fino ad incontrarsi nel magico scenario di Saint-Malò e nel consumarsi della tragedia della Seconda guerra mondiale di cui racconta in particolare l'assedio degli alleati alla costa francese e alla cittadella occupata dalle truppe austriache e tedesche.
L'americano Doerr ha saputo costruire una lunga  storia attraverso brevi frasi e brevi capitoli che attraversano l'Europa e raccontano il dolore dei giovani, la ricerca di un diamante preziosissimo e forse malefico, gli stratagemmi di un padre per rendere autonoma una figlia che non può vedere, le paure di uno zio che non esce dalla sua stanza. Ma soprattutto, il libro è una celebrazione della vita, dei suoi infiniti colori, odori, sapori, consistenze, segni e tracce invisibili, come le onde radio che diffondono musica e parole, gettando ponti tra mondi lontani.

Ammiratore di Italo Calvino, Doerr ha appreso la lezione della vertigine degli elenchi che cercano di raccontare i labirinti: "Botanica sa di colla, carta assorbente e fiori pressati. Paleontologia sa di polvere di roccia e polvere d’ossa. Biologia sa di formalina e frutta troppo matura; è piena di pesanti vasi freschi al tatto in cui galleggiano cose che a lei hanno solo descritto: serpenti a sonagli arrotolati in pallide funi, mani mozzate di gorilla. Entomologia sa di olio e antitarme: un conservante, le ha spiegato il dottor Geffard, che si chiama naftalina. Gli uffici sanno di carta carbone, o fumo di sigaro, o brandy, o acqua di colonia."


Lo scherzo di Kundera

"Mi fanno schifo le persone che provano un sentimento di fratellanza perché hanno scoperto, l'una nell'altra, la medesima bassezza. È una fratellanza viscida, alla quale non ambisco."

Una rilettura che mi ha coinvolto ancora. Pubblicato nel 1967, primo romanzo di Milan Kundera (quello dell'Insostenibile leggerezza dell'essere,  ricordate il tormentone di Quelli della notte?), racconta la storia di Ludvik Jahn e della sua (tentata) vendetta. Ludvik, giovane universitario ai tempi del regime cecoslovacco, invia per scherzo una cartolina ad una compagna di studia nella quale ironizza sull'ottimismo e sullo spirito sano tanto cari allo spirito del tempo. Il fatto stravolge la vita del ragazzo, costretto a lasciare gli studi e a prestare il servizio militare in miniera, circondato da persone lontane a lui per interessi e visione del mondo. Uno strappo dolorosissimo, una perdità di identità che lo fa barcollare e cercare conforto nell'unica visione di bontà che incontra, la dolce e passiva Lucie.
Tornerà a casa solo molti anni dopo, deciso a consumare la sua vendetta ma il dolore non trova consolazione quando tutto intorno il mondo è cambiato e i nemici di ieri sono diventati sconosciuti.
Avvertenza: ci sono parti piuttosto noiose sulla musica popolare morava (con tanto di citazione dei testi) ma rimane un gran libro, abitato dallo sforzo di dare un senso a quello che ci cade addosso.

"...quella strana convinzione che le vicende che mi capitano abbiano un senso ulteriore, significhino qualcosa; che la vita con le sue vicende racconti qualcosa di sé, ci sveli gradatamente qualche suo segreto, stia davanti a noi come un rebus il cui senso è necessario decifrare, e le vicende che viviamo siano la mitologia della nostra vita e in questa mitologia stia la chiave della verità, e del mistero. Si tratta forse di un inganno? È possibile, è addirittura probabile, ma non riesco a sbarazzarmi del bisogno di decifrare continuamente la mia vita."

Revolutionary Road

"Il disperato vuoto. Cielo, c’è un sacco di gente che la parte del vuoto l’ha capita. … Ma nessuno ha mai detto disperato, era lì che ci mancava il coraggio. Perché forse ci vuole una certa dose di coraggio per rendersi conto del vuoto, ma ne occorre un bel po’ di più per scorgere la disperazione"

Quanto ci fanno arrabbiare, April e Frank? Quanto ci fanno soffrire April e Frank Wheeler? Una  giovane coppia di innamorati  sogna una vita "diversa" e si ritrova intrappolata in una deliziosa casetta tipicamente borghese, in una vita conforme alle aspettative dei tempi: lui trova un lavoro, lei si occupa dei figli, cercano di curare il giardino e di mantenere accesa, in qualche modo, la fiammella del desiderio, dell'emozione, della libertà. Ci sono libri, a casa loro (tutti quei libri che non serviranno a niente, scrive Yates a un certo punto), le loro conversazioni sono (cercano di essere) brillanti e ciniche e appassionate ma non c' è niente da fare: sono in trappola, la vita fa il suo corso e chiude possibilità, nebulizza sogni, spegne gli incendi dell'immaginazione. A pagare il prezzo dell'illusione in modo definitivo sarà April, che non ha, a differenza di Frank, nessuna possibilità di fuga: ci sono i figli, ma non bastano. Ci vorrebbe un lavoro, ci vorrebbe un amante decente, ci vorrebbe la soddisfazione di indossare la camicia giusta guidando l'automobile giusta, un riconoscimento da parte del capo tanto disprezzato: Frank tutto questo ce l'ha e forse comincia a bastargli. Ma April è sola in casa, con le sue fantasie che nessuno capirebbe (tranne un pazzo, che infatti c'è e la capisce). E nelle sue visioni non ci sono vie d'uscita indolori.

Straziante e doloroso, Revolutionary Road ci racconta la sofferenza della vita che ci scappa di mano e di quella parte di noi che non trova consolazione.

Biglietto scaduto di Romain Gary

Romain Gary, Biglietto scaduto (Gallimard, 1975 – Neri Pozza 2008)

"Vivere è una preghiera che solo l'amore di una donna può esaudire"

Jacques Rainier ha cinquantanove anni, un aspetto ancora piacente, disponibilità finanziarie abbondanti. Frequenta il cosiddetto jet set internazionale, un mondo di auto di lusso, hotel a Venezia e campionati di bob a Saint-Moritz. Inoltre ha una fidanzata giovane, molto bella , molto ricca e sinceramente innamorata di lui: tutti gli ingredienti giusti per suscitare antipatia (la mia, intendo) e anche un distacco sprezzante (ad esempio:: va là che la giovanissima ti amava meno se facevi il metalmeccanico... eccetera eccetera).
La storia poi, la potremmo riassumere così: uomo ricco, bello e viziato, ai primi sintomi di perdita della virilità va giù di testa all'idea di non potersi più permettere performance all'altezza della sua giovane fidanzata: la perderà?
Una roba da farti pensare che si meriterebbe un mese in un gulag, lui, il suo autore e tutto il jet-set di contorno.
E invece.
Invece il romanzo è bello, acuto e commovente. Jacques mi è piaciuto e ho sentito la sua ironica disperazione di fronte al tranello del destino, che gli ha fatto trovare l'amore quando era troppo tardi. Ho capito il suo timore, la sua rabbia, la sua vergogna per la decadenza di fronte allo splendore della gioventù. E tutta l'intelligenza di una mente così brillante non aiuta più di tanto quando il medico ti suggerisce bidet rinfrescanti e rapporti veloci, per evitare problemi.
E' un romanzo che parla, a tratti in modo tecnico e dettagliato, delle prime difficoltà nei rapporti sessuali di un uomo giunto a una delle tante linee d'ombra che la vita ci costringe ad attraversare: e ci riguarda, perché di biglietti  scaduti, ognuno a modo nostro, ne abbiamo tutti in qualche tasca, per quanto nascosta.

E non è tutto qui, il romanzo ha altro da offrire perché il nostro Jacques cerca soluzioni e non ci sta a perdere l'amore:  la sua ricerca di un sostituto (prima di un fantasma che aiuti l'immaginazione, poi di una realtà che incarni l'immagine) getta uno sguardo interessante sul rapporto tra uomini bianchi (europei colti e raffinati) ed ex-colonizzati. Sarebbe lunga, ma se conoscete la barzelletta dell'uomo nero che rinfresca con un grande ventaglio gli amplessi di una coppia di bianchi in crisi creativa... ecco, un'idea ve la potete fare.

Romain Gary, nato a Vilnius ma vissuto a parigi, è l'unico scrittore ad aver vinto per due volte il premio Goncourt (il primo con uno pseudonimo, come si scoprì alla sua morte). E' stato partigiano decorato con la Legione d'Onore, diplomatico, console di Francia e scrittore. Ha sposato in seconde nozze l'attrice americana Jean Seberg. Entrambi hanno posto volontariamente fine alla propria vita.

Le correzioni di Franzen

Le correzioni, Jonathan Franzen, 2001 (Einaudi, 2002)

« Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l'intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine. »

Scrivere qualcosa su Le correzioni di Johanatan Franzen è decisamente imbarazzante:  considerato uno dei romanzi fondamentali della letteratura americana contemporanea, è stato analizzato e recensito da tutto il mondo. Io ho letto pochissimo di quel che è stato scritto, ma azzardo ugualmente.
L'attacco è magistrale:  nella casa dei coniugi Lambert, l'ansia ha impregnato ogni cosa ed Enid non è più in grado di tenere sotto controllo tutte quelle stanze, quegli oggetti, quelle raccomandate; ogni giorno è una battaglia da quando Alfred si è ammalato di Alzheimer; Enid ci mette tutto il suo impegno e non capisce perchè Al si lasci andare così tanto, rintanato nel sottosuolo a fingere di riverniciare il tavolo del giardino.
Parte così, con un capitolo che fa scoppiare il cuore dall'ansia la ricostruzione della storia della famiglia Lambert: i coniugi Alfred ed Enid ed i loro tre figli, ormai adulti, Gary, Chip e Denise. Una normale famiglia americana con tutte le disfunzioni possibili nelle famiglie normali : anaffettività, ansia negata, forte frustrazione, caos mascherato. Nessuno dei personaggi è simpatico: io li ho detestati tutti, soprattutto Enid, che per tutta la vita si sforza di nascondere le crepe dell'armonia familiare e in seguito le voragini della malattia del marito; anche Chip non è da meno, con il suo rivetto all'orecchio e la totale deficienza di buon senso; Gary è un patetico prepotente, succube di una moglie nevrotica a livelli pesanti; più simpatica Denise, che almeno eccelle in qualcosa (è una cuoca apprezzata); il burbero, severo, rigido e maniacale Alfred, che pure ha fatto soffrire un po' tutti, risulta quasi un punto fermo nel delirio di quelle vite allo sbando.

E' un romanzo pieno di cose, Le Correzioni – l'economia americana è una traccia che Franzen insegue in parallelo alle vicende dei Lambert, anche qui dimostrando conoscenze e competenze di alto livello. Il linguaggio, specchio di tutto questa ricchezza, è complesso, articolato e non abbassa l'asticella in nessuna delle 600 pagine del romanzo. Un lavoro di fronte al quale inchinarsi.

Tag: Alzheimer, medicine, ferrovie, omosessualità, droghe, eccetera.

Nella foto Jonathan Franzen con David Forster Wallace

L'amore invisibile di Schmitt

Una coppia di uomini si sposa approfittando di un matrimonio tra due sconosciuti; un uomo non può vivere senza il suo cane; una donna ama il proprio nipote malato più del figlio; un uomo ama si innamora di una donna tramite l'ammirazione per il primo marito defunto; una coppia rinuncia ad avere un figlio e anni dopo ne incontra il possibile doppio.
Cinque racconti legati da un filo conduttore: i fantasmi che ci accompagnano e ci sostengono, l'amore per qualcuno che non c'è, le triangolazioni dei sentimenti, che ci fanno amare qualcuno attraverso un altro e che proiettano i nostri sentimenti su schermi diversi.
Con leggerezza il famoso autore di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano ed autore e regista diLezioni di felicità mette in prosa storie di fantasmi: i suoi illustri antenati sono La prima moglie della Du Maurier e il Giro di vite di Henry James. Con una prosa leggera, a volte banale e una semplicità di narrazione non sempre all'altezza dei temi trattati, i racconti sono comunque piacevoli, se non proprio compiuti, ed hanno il pregio di visitare zone interessanti dell'esistere.

Le sfumature di Alice Munro

Quando si leggono i racconti della Munro si ha l'impressione di vedere sfumatore di colore di cui non conoscevamo l'esistenza. Le sue donne, ad esempio, parlano così: «Quando cominci veramente a lasciar perdere, succede così. Ti parte dentro una fitta di dolore segreta, inaspettata. E subito dopo, un senso di leggerezza. Vale la pena rifletterci, sulla leggerezza».