domenica 19 giugno 2016

Il mare non bagna Napoli

''Il mare non bagna Napoli' è un libro molto particolare, a partire dal genere. È una raccolta di testi che comprende due racconti, due testi più vicini al reportage ed un lungo finto- reportage dedicato agli intellettuali della Napoli del dopoguerra, amici e colleghi della Ortense.
Nel primo racconto la Ortese descrive la povertà del popolo napoletano attraverso la storia di una bambina alla quale la zia paga un paio di occhiali da vista dopo che si scopre che ha una forte miopia. Gli occhiali, che in un primo momento sembrano alla piccola una bellissima novità che le permetterà di vedere tutta la bellezza del mondo, finiscono per diventare, nel finale, uno strumento che le 'apre gli occhi' sull'orrore che la circonda. Il tema della 'visione', spesso improvvisa, spesso simile a un sogno, lega tutti i testi tra di loro: d'altra parte la Ortese viene spesso definita una visionaria, capace di intuizioni profonde.
La più sconvolgente di queste illuminazioni è in realtà un viaggio nel buio degli inferi del III e IV Granile, un immenso casermone borbonico occupato nel dopoguerra da centinaia di famiglie di napoletani senza casa (fu demolito qualche anno dopo). La visita è narrata attraverso un linguaggio allucinato, come un vero e proprio viaggio nell'aldilà, nel buio della ragione, dove l'umano non si distingue più dall'animale, dove la sporcizia, la malattia, la follia ed il dolore hanno vinto completamente sulla razionalità.
Infine, nell'ultima parte del libro, la Ortese descrive i suoi amici, gli scrittori, gli intellettuali e i 'marxisti' con i quali aveva lavorato alla rivista Sud, animati da una voglia di riscatto per la loro città e per il mondo, dopo la fine della guerra. Ogni libro ha una sua storia, legata al tempo e al luogo in cui è stato scritto, a quello che ha significato per l'autore, al tempo che ha richiesto per nascere e a ciò che ha suscitato dopo che è uscito. 'Il mare non bagna Napoli' ha una storia particolare: la Ortese decide di descrivere gli amici come degli sconfitti, oramai assimilati ai mali che volevano combattere; li ritrae a tinte cupissime, quasi dei morti che camminano, dei sonnambuli. Lo rabbia che suscitò fece allontanare la Ortese dalla città, nella quale non tornò mai più, pur continuando a pensarla e a scriverne; tanto che più volte prese il treno da Milano, anche molti anni dopo, ma arrivata in stazione non scese.
Una lettura non facilissima, soprattutto la parte che riguarda il rapporto tra gli intellettuali e la città; mi è stato necessario capire un po' meglio il contesto, con qualche informazione.
Ho guardato un interessante documentario sulla Ortese, personaggio particolare; è davvero strano pensare che una donna che tutti raccontano schiva, anche impaurita, spesso chiusa in casa e lontana da ogni mondanità, abbia avuto la forza per pubblicare un testo che le avrebbe messo tutti contro.  Per chi fosse interessato consiglio almeno di leggere 'Oro a Forcella' e 'La città involontaria', il reportage sulla vita nel III e IV Granile, per capire come poteva essere quel luogo e cogliere il linguaggio cupissimo e onirico della Ortese.

(Aprire gli occhi è una chiave di lettura importante per la Ortese, che nel libro, come dicevo sopra, gira sempre attorno al concetto di visione: La scuola cattolica di Albinati si apre così: 'Fu Arbus ad aprirmi gli occhi.' Tutta un'altra storia, ma proseguo così le mie letture.)