martedì 22 settembre 2015

Ricordami così di Kevin Powers

Justin Campbell scompare nel nulla all'età di 11 anni. Una tragedia che coinvolge una famiglia, una cittadina, un intero stato. Le ricerche sono meticolose, determinate, piene di speranza e di paura. Lentamente però le forze vengono meno e la famiglia deve cercare un equilibrio nella nuova vita, la vita dopo-la-scomparsa: ma è un equilibrio allucinato e senza pace quello che la madre Laura trova nell'accudire una delfina al laboratorio marino e che il marito Eric cerca nella relazione con la moglie di un amico; anche il figlio minore è costretto a cercare una nuova stabilità, nella continua alternanza di identità che lo trasforma di continuo da “il fratello di Justin” a “figlio unico, ormai”: la sua passione per lo skate è l'immagine esatta della continua ricerca di una nuova posizione per non cadere, nonostante l'aumentare delle difficoltà.
Ma Ricordami così non ha il suo perno nella scomparsa, bensì nel ritorno di chi si credeva perduto: Justin è uno dei “revenants” che vanno di moda ultimamente, un fantasma che all'improvviso è di nuovo tra di noi, uguale a se stesso ma profondamente sconosciuto. La sua apparizione misteriosa in un mercato della cittadina, dove sta acquistando dei topolini per sfamare il suo serpente , rimarrà l'unico indizio esplicito di una diversità spaventosa, soprattutto perché non detta, con la quale i Campbell dovranno fare i conti; insieme alla consapevolezza, che diventa colpa, del fatto che Justin è sempre stato vicino e loro non sono riusciti a trovarlo. A volte il mondo è piccolo, dice la madre a un certo punto. Solo per alcuni, risponde Justin, per altri è troppo grande.
Mi sono chiesta: perché? Perché l'autore ha scelto questa storia? Perché, prima di questa c'è stato il successo di Les revenants? Per un corto circuito di lettura( ho appena letto un romanzo sulla difficoltà di ritornare dall'Iraq, Yellow birds) Justin mi ha fatto pensare ai ragazzi che tornano dalle guerre, manichini identici all'originale ma devastati all'interno. Anche per loro a casa la famiglia si chiede quali orrori avranno vissuto; anche con loro spesso prevale il silenzio.Ma il caso di Justin diverso(in parte): non se n'è andato, l'hanno portato via, come gli “indiani” rapivano i bambini e a volte li facevano crescere con loro (e qui mi viene in mente Il figlio di Meyer). Qualcuno non tornò mai più, altri faticarono a trovare una loro identità, per sempre sospesi tra i due mondi. E' di questo che parla, il romanzo: di identità che smottano continuamente, di silenzi che portano i protagonisti alla deriva, di una enorme difficoltà a sentire che il mondo, intorno, è abbastanza stabile. Chissà perché uno scrittore americano, colto e benestante, ha bisogno di                                                                       raccontarci proprio questa storia.

(e con questo mi prendo una pausa dalle famiglie statunitensi: vado alla ricerca di una Dona Flor, di un Maqroll il Gabbiere, di una zia Giulia con nipote scribacchino)





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