Justin Campbell scompare nel nulla
all'età di 11 anni. Una tragedia che coinvolge una famiglia, una
cittadina, un intero stato. Le ricerche sono meticolose, determinate,
piene di speranza e di paura. Lentamente però le forze vengono meno
e la famiglia deve cercare un equilibrio nella nuova vita, la vita
dopo-la-scomparsa: ma è un equilibrio allucinato e senza pace quello
che la madre Laura trova nell'accudire una delfina al laboratorio
marino e che il marito Eric cerca nella relazione con la moglie di un
amico; anche il figlio minore è costretto a cercare una nuova
stabilità, nella continua alternanza di identità che lo trasforma
di continuo da “il fratello di Justin” a “figlio unico, ormai”:
la sua passione per lo skate è l'immagine esatta della continua
ricerca di una nuova posizione per non cadere, nonostante l'aumentare
delle difficoltà.
Ma Ricordami così non ha il suo
perno nella scomparsa, bensì nel ritorno di chi si credeva perduto:
Justin è uno dei “revenants” che vanno di moda ultimamente, un
fantasma che all'improvviso è di nuovo tra di noi, uguale a se
stesso ma profondamente sconosciuto. La sua apparizione misteriosa in
un mercato della cittadina, dove sta acquistando dei topolini per
sfamare il suo serpente , rimarrà l'unico indizio esplicito di una
diversità spaventosa, soprattutto perché non detta, con la quale i
Campbell dovranno fare i conti; insieme alla consapevolezza, che
diventa colpa, del fatto che Justin è sempre stato vicino e loro non
sono riusciti a trovarlo. A volte il mondo è piccolo, dice la madre
a un certo punto. Solo per alcuni, risponde Justin, per altri è
troppo grande.
Mi sono chiesta: perché? Perché
l'autore ha scelto questa storia? Perché, prima di questa c'è stato
il successo di Les revenants? Per un corto circuito di lettura( ho
appena letto un romanzo sulla difficoltà di ritornare dall'Iraq,
Yellow birds) Justin mi ha fatto pensare ai ragazzi che
tornano dalle guerre, manichini identici all'originale ma devastati
all'interno. Anche per loro a casa la famiglia si chiede quali orrori
avranno vissuto; anche con loro spesso prevale il silenzio.Ma il caso
di Justin diverso(in parte): non se n'è andato, l'hanno portato via,
come gli “indiani” rapivano i bambini e a volte li facevano
crescere con loro (e qui mi viene in mente Il figlio di
Meyer). Qualcuno non tornò mai più, altri faticarono a trovare una
loro identità, per sempre sospesi tra i due mondi. E' di questo che
parla, il romanzo: di identità che smottano continuamente, di
silenzi che portano i protagonisti alla deriva, di una enorme
difficoltà a sentire che il mondo, intorno, è abbastanza stabile.
Chissà perché uno scrittore americano, colto e benestante, ha
bisogno di raccontarci proprio questa storia.
(e con questo mi prendo una pausa dalle
famiglie statunitensi: vado alla ricerca di una Dona Flor, di un
Maqroll il Gabbiere, di una zia Giulia con nipote scribacchino)
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