martedì 19 gennaio 2016

La comparsa di Abraham Yehoshua

La comparsa è un romanzo 'leggero', paragonato ad altri lavori di Yehoshua. Ha la qualità del l'acquerello, le trasparenze di sentimenti accennati, le sfumature tenui di alcuni sogni: tratteggia e non sempre mi è bastato. Le tante corde toccate, vengono pizzicate con delicatezza, come se l'autore volesse mantenere un tocco leggero simile a quello che la protagonista predilige suonando l'arpa.
Gora, arpista emigrata in Olanda, rientra a Gerusalemme per due mesi, a vigilare sull'appartamento della madre mentre questa andrà a sperimentare la vita in una struttura per anziani a Tel Aviv. Per non annoiarsi e guadagnare qualcosa nel periodo di pausa forzata, il fratello trova per Gora un lavoro particolare, la comparsa. Con atteggiamento giocoso la donna parteciperà ad una giuria popolare, ad una serata di musica nel deserto, ad una scena in un ospedale in cui interpreta la parte della malata. Nei due mesi trascorsi in solitudine a Gerusalemme, circondata da famiglie di ortodossi al limite del fanatico, Gora vaga, senza direzioni, lasciandosi portare da una scena all'altra e passando, di notte, da un letto all'altro nell'appartamento. Spesso è visitata da due bambini, che si intrufolano in salotto per guardare la tv, a loro proibita dalle rigide regole della famiglia. Uno di questi bambini è malato di una qualche forma di ritardo: un giorno Gora, nuda nella vasca, afferra il piccolo che tenta di entrare dalla finestra del bagno e lo costringe a spogliarsi, per lavarlo. Gora non ha figli, non ne ha voluti e per questo motivo il marito si è separato da lei, anni prima: non per questo il legame si è spezzato e l'uomo si ripresenta a lei. Nonostante si sia risposato ed abbia avuto due figli ancora non accetta che Gora abbia abortito il frutto del loro amore e cerca una ricompensa. La madre di Gora, inaspettatamente, è d'accordo con l'uomo: dagli un figlio, lascia qualcosa di te, lo cresceremo noi. Ma Gora, donna capace di comperare una frusta per gioco, non si lascia catturare e ritorna alla sua musica. Fino ad arrivare in Giappone, quasi una terra del sogno, per suonare La mer di Debussy: e nel gioco tra il mare e la madre, tra le onde musicali e l'abbraccio materno, Gora ritrova una fertilità che credeva perduta.

Il romanzo ha suscitato discussioni in Israele, seguite ad alcune dichiarazioni dell'autore che criticava la scelta di chi non vuole figli (uomo o donna, senza distinzioni). Ma nel romanzo, Yehoshua, da sempre cantore dei legami familiari, in tutte le loro difficoltà e sfaccettature, guarda con simpatia Gora e la sua arpa: la fa muovere leggera e dolce, libera e vagabonda. Che poi il tema sia complesso è vada oltre il romanzo è appunto faccenda che resta fuori: tra le pagine Gora è una Venere (che è il significato del suo nome) dalle braccia robuste: compera fruste e sa dire di no.

sabato 16 gennaio 2016

L'invisibile ovunque di Wu Ming


'Niente uccide un uomo come l'obbligo di rappresentare una nazione'
Jacques Vaché


Non è un romanzo, l'ultimo lavoro dei Wu Ming; si tratta di quattro narrazioni autonome, legate dal progetto di mostrare la disumanità della guerra e di raccontare alcuni dei modi in cui, gli uomini tentarono di sopravvivere, di evitarla, di assimilarsi. Sulla scia del lungo lavoro al quale da tempo gli scrittori del collettivo bolognese si dedicano, una narrazione al servizio della memoria; in particolare la memoria di quello che è stato dimenticato, rimosso, nascosto. È molto pericoloso, per una società come per i singoli individui, lasciare zone d'ombra nel proprio passato, non esplorare ciò che è accaduto mettendo in luce per quanto possibile tutto ciò che è necessario, anche se scomodo - soprattutto se scomodo. L'invisibile ovunque è uscito nell'anno delle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra, ma negli ultimi mesi, quando ormai il boom dei tanti libri dedicati aveva saturato il mercato: a giochi fatti, si può dire - immagino per ribadire una presa di distanza dai meccanismo di mercato. Nel loro sito dichiarano: 'L’Invisibile ovunque è il nostro modo di non celebrare il centenario della Grande guerra'.
Le quattro storie sperimentano diversi registri, dal racconto più tradizionale al mockumentary (il finto documentario), ed in essi emerge, prepotente, il tema della follia, della fuga, del tentativo di sottrarsi, rendendo protagonisti coloro che non vorrebbero, a nessun costo, partecipare alla carneficina: in memoria di Ulisse, che si finse pazzo; in memoria di Achille, travestito da donna; in nome del surrealismo e di un certo comunismo, quello che vedeva nella guerra il paradosso di uomini che uccidono altri uomini della stessa parte della barricata, quella degli sfruttati.
Che le guerre siano sempre carneficine insensate parrebbe una evidenza senza bisogno di ulteriori dimostrazioni: ma i Wu Ming avvertono pericoli (l,eterno ritorno del mito della violenza) e fanno la loro parte, celebrando i disertori, i poeti, i pazzi, gli imboscati. Sottrarsi, in nome di un'umanità diversa.

mercoledì 13 gennaio 2016

Gilead di Marilynne Robinson

Un padre anziano e malato scrive una lettera al figlio, perchè la legga quando sarà grande e possano così conoscersi attraverso le parole scritte, poichè non sarà possibile incontrarsi realmente. Joun Ames ha 76 anni ed è il pastore di Gilead, cittadina sperduta nel nulla dell'Iowa, il cui cui nome è lo stesso utilizzato in inglese per Galaad, famosa per il balsamo biblico. È un credente convinto, senza certezze granitiche: ma la bellezza del mondo è uno spettacolo che lo attraversa come una grazia e che illumina le sue riflessioni in ogni singola parola. La lettera è il racconto di una formazione, degli uomini ai quali è stato legato: il nonno, furibondo abolizionista che predicava con la camicia ancora macchiata di sangue e la pistola in mano; il padre, pacifista convinto e contraltare della follia paterna; il fratello, che abbandona Gilead e la fede come mondi mortiferi e assurdi; l' amico di sempre ed il figlioccio, il misterioso Jack, che è così amabile e così impossibile da amare.
Lo sguardo di John ha il leggero distacco di chi vive come fosse già altrove e l'amore profondo di chi sente già nostalgia di quello che dovrà lasciare: l'amatissima giovane moglie, il figlio ancora bambino. Incantato da ogni nuova mattina che gli viene concessa, il pastore gode di ogni luce, di ogni sorso d'acqua: la benedizione per lui è nello scintillio di un viso bagnato, nelle lucciole che accendono la notte, nella risata della moglie. Si racconta, John Ames, parla con il figlio e intanto parla con Dio, ricorda e riflette, sbaglia e si corregge. La scrittura è sincera, di una raffinata semplicità, come se ogni parola fosse scelta con cura per la sua leggerezza - e precisione, se è possibile trovare i termini esatti per raccontare il profondo di un'anima colma di grazia. Non c'è balsamo in Galaad? Eccome; la musicalità della prosa della Robinson è una traccia costante, che culla, accarezza in superficie, tocca con lievità un punto e poi un altro: con dolcezza penetra sotto pelle, ed arriva giù in fondo, dove il nostro buio aspettava.
Arriva lentamente, il dolore per tutto quello che siamo destinati a perdere, per i figli lasciati nel deserto, per quello che potevamo ancora avere e non avremo - ancora una mattina, almeno due o tre. E non c'è paradiso, anche per John Ames, che lo attenda, che possa competere con la straziante bellezza di questo nostro mondo, che gli angeli del cielo canteranno come si canta la caduta di Troia: un mondo di eroi, destinati a perdere tutto.


venerdì 8 gennaio 2016

Chirù di Michela Murgia, 2015


'Lo guardai con attenzione. Era giovanissimo, forse neppure diciottenne, ma aveva nello sguardo qualcosa di slabbrato, come se osservasse il mondo da una prospettiva già offesa. Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirú lo riconobbi dall’odore di cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio.'
Chirù è un diciottenne con aspirazioni artistiche, Eleonora una donna di trentotto anni, attrice affermata che vive da sola e fa della propria indipendenza una bandiera da portare con orgoglio. È una donna intelligente, Eleonora, passionale e piena di interessi; ha avuto una lunga e importante storia d'amore con un uomo che possedeva l'attrattiva per lei essenziale, il fondamento di ogni erotismo: poteva insegnarle, poteva farle da maestro. Su questa idea del rapporto fecondo e ambiguo tra maestro ed allievo si basa il romanzo di Michela Murgia. Ha il pregio di porre al centro della vicenda una donna eccezionale, fuori dagli schemi: una donna manipolatrice e perentoria, che sentenzia e gioca ad essere la più forte e che ama trarre linfa vitale da giovanissimi ragazzini in cerca di indirizzi. Non è simpatica e non vuole esserlo; le interessa altro. L'incontro con il giovanissimo Chirù provocherà leggeri smottamenti alla terraferma sulla quale si sentiva ormai approdata e dalle fratture nasceranno nuove possibilità.
Michela Murgia ha scritto un bel libro, utilizzando una lingua precisa, affilata, intelligente. Ha toccato un argomento interessante e non banale, l'erotismo che si mescola all'insegnamento (quanto sia erotico essere allievo di un bravo maestro e viceversa.) Infine, ha inventato un mondo dove è una donna ad essere una maestra, potente e tagliente. Bello anche il finale: che dite, è abbastanza?'Lo guardai con attenzione. Era giovanissimo, forse neppure diciottenne, ma aveva nello sguardo qualcosa di slabbrato, come se osservasse il mondo da una prospettiva già offesa. Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirú lo riconobbi dall’odore di cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio.'

Chirù è un diciottenne con aspirazioni artistiche, Eleonora una donna di trentotto anni, attrice affermata che vive da sola e fa della propria indipendenza una bandiera da portare con orgoglio. È una donna intelligente, Eleonora, passionale e piena di interessi; ha avuto una lunga e importante storia d'amore con un uomo che possedeva l'attrattiva per lei essenziale, il fondamento di ogni erotismo: poteva insegnarle, poteva farle da maestro. Su questa idea del rapporto fecondo e ambiguo tra maestro ed allievo si basa il romanzo di Michela Murgia. Ha il pregio di porre al centro della vicenda una donna eccezionale, fuori dagli schemi: una donna manipolatrice e perentoria, che sentenzia e gioca ad essere la più forte e che ama trarre linfa vitale da giovanissimi ragazzini in cerca di indirizzi. Non è simpatica e non vuole esserlo; le interessa altro. L'incontro con il giovanissimo Chirù provocherà leggeri smottamenti alla terraferma sulla quale si sentiva ormai approdata e dalle fratture nasceranno nuove possibilità.

Michela Murgia ha scritto un bel libro, utilizzando una lingua precisa, affilata, intelligente. Ha toccato un argomento interessante e non banale, l'erotismo che si mescola all'insegnamento (quanto sia erotico essere allievo di un bravo maestro e viceversa.) Infine, ha inventato un mondo dove è una donna ad essere una maestra, potente e tagliente. Bello anche il finale: che dite, è abbastanza?
'Lo guardai con attenzione. Era giovanissimo, forse neppure diciottenne, ma aveva nello sguardo qualcosa di slabbrato, come se osservasse il mondo da una prospettiva già offesa. Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirú lo riconobbi dall’odore di cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio.'

Chirù è un diciottenne con aspirazioni artistiche, Eleonora una donna di trentotto anni, attrice affermata che vive da sola e fa della propria indipendenza una bandiera da portare con orgoglio. È una donna intelligente, Eleonora, passionale e piena di interessi; ha avuto una lunga e importante storia d'amore con un uomo che possedeva l'attrattiva per lei essenziale, il fondamento di ogni erotismo: poteva insegnarle, poteva farle da maestro. Su questa idea del rapporto fecondo e ambiguo tra maestro ed allievo si basa il romanzo di Michela Murgia. Ha il pregio di porre al centro della vicenda una donna eccezionale, fuori dagli schemi: una donna manipolatrice e perentoria, che sentenzia e gioca ad essere la più forte e che ama trarre linfa vitale da giovanissimi ragazzini in cerca di indirizzi. Non è simpatica e non vuole esserlo; le interessa altro. L'incontro con il giovanissimo Chirù provocherà leggeri smottamenti alla terraferma sulla quale si sentiva ormai approdata e dalle fratture nasceranno nuove possibilità.

Michela Murgia ha scritto un bel libro, utilizzando una lingua precisa, affilata, intelligente. Ha toccato un argomento interessante e non banale, l'erotismo che si mescola all'insegnamento (quanto sia erotico essere allievo di un bravo maestro e viceversa.) Infine, ha inventato un mondo dove è una donna ad essere una maestra, potente e tagliente. Bello anche il finale: che dite, è abbastanza?

Servabo di Luigi Pintor (1991)

Le "memorie di fine secolo" di Luigi Pintor consistono, volutamente, di poche pagine; l'idea di fondo è che le parole siano sempre troppe, così come i libri. Un presupposto non di posa snob, ma profondamente sentito e trasmesso attraverso una sobrietà di racconto che coincide perfettamente con il sentire trasmesso. una intera vita, densa di avvenimenti e di attività ci viene narrata  con raffinata densità. Lo sguardo è lontano, può cogliere l'insieme ed isolare le tracce necessarie. la guerra e la morte del fratello, motori di un destino segnato fino alla fine; l'impegno politico, la scelta di parte, lo sforzo di ricordare cosa significhi stare nella parte di campo degli sconfitti, dei più poveri, dei lavoratori; la vita affettiva e individuale, mai slegata dal paesaggio collettivo. Una vita esemplare, si sarebbe tentati di pensare: ma non sarebbe d'accordo l'autore, che lascia intravedere anche i fallimenti. Ogni pagina c'è una frase da tenere, un pensiero da far proprio: e quel poco che è scritto basta eccome, per capire quel che bisogna capire. Alla fine, tutto si potrebbe riassumere così: "Non c'è in un'intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un'altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi."

Qui la lettera testamento del fratello Giaime.

"Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze acquistate nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili. Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi, e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che i morti seppelliscano i morti." 


Riparare i viventi di Maylis de Kerangal

'Il cuore di Simon Limbres. Cosa sia questo cuore umano, dall'istante in cui ha cominciato a battere più forte, alla nascita, quando altri cuori là intorno acceleravano a loro volta salutando l'evento, che cosa sia questo cuore, cosa l'abbia fatto balzare, vomitare, crescere, danzare in un valzer leggero come una piuma, o pesare come un macigno, cosa l'abbia stordito, cosa l'abbia fatto struggere...'
È una corsa che toglie il fiato, il romanzo di Maylis de Kerangal dedicato al cuore di Simon Limbres, giovanissimo surfista francese destinato a una morte precoce, che lascia integro il suo corpo ma ne uccide le attività cerebrali e dunque ne decreta la morte. Un romanzo su cosa sia un trapianto di cuore, poetico e dettagliato, che corre veloce e ci fa ansimare perché i minuti sono contati quando si tratta di 'riparare i viventi': il protocollo è complesso e prevede procedure accurate ma accelerate. Ci vuole cura per ogni dettaglio: parlare ai genitori, avvicinarli all'idea, contattare centri specializzati, confrontare tessuti e dimensioni.
I romanzieri sono necessari, ho pensato - ancora una volta - a chiusura del libro. Illuminano zone oscure, lasciate in penombra anche quando sono in apparenza sotto gli occhi di tutti. In un tempo in cui la scienza lavora sui nostri corpi e ne cambia la percezione, sono preziose le parole che indagano in quella zona, a ricordarci che un cuore, è pur sempre un cuore: principe del corpo, centro del nostro mondo, pompa carica di sangue e di simboli. Manipolare il corpo non è solo questione di tecnica raffinatissima: ci vogliono cantori, ad accompagnare i nostri cuori e a celebrane i passaggi: accelerazioni, contrazioni, distacchi.
Il personaggio che tiene in mano i fili della vicenda, colui che ne cuce i passaggi, non a caso è un infermiere con la passione del canto; prima di affrontare il discorso del trapianto con i genitori di Simon 'decontrae i muscoli, disciplina il respiro, conscio che la punteggiatura è l'anatomia del linguaggio, la struttura del senso, tanto che visualizza la frase d'inizio, la sua linea sonora, e assapora la prima sillaba che pronuncerà, quella che fenderà il silenzio, precisa, rapida come una lama - un taglio più che una screpolatura ...'. Il tema del ritmo, della musicalità, del suono è una delle tracce profonde del romanzo: il battito del cuore, come la punteggiatura, accompagna costante la vita, accelera e rallenta seguendo le onde, come il respiro del mare tanto amato da Simon. Ed è il ritmo che culla, accompagna, trasporta: sarà il canto a ricomporre l'individualità di un corpo smembrato, la litania delle frasi sgranate a rosario a dare equilibrio alla disperazione di una madre. I cardellini, preziosi e ormai introvabili, andrebbero tutelati, suggerisce l'autrice: perché sarà un canto ad accompagnarci quando dovremo seppellire i morti, o riparare i viventi.
Il cardellino di Donna Tartt, il pappagallo di Flaubert, il cuore semplice che se ne innamora, il canarino di Catullo: trame da seguire, se si ha il gusto del surfista letterario, alla ricerca delle onde.

venerdì 1 gennaio 2016

Mucchio d'ossa di Stephen King

Esco dall'immersione in Mucchio d'ossa pensando: finalmente una storia di fantasmi; e anche: bisogna leggere, ascoltare, vedere qualche storia sui fantasmi. La casa infestata di Amatissima di Toni Morrison, Rebecca la prima moglie della Du Maurier (o il film di Hitchcock), Jane Eyre con il fantasma vivente rinchiuso nella torre; le storie di fantasmi di Dickens, di Henry James, di Edith Warthon. Almeno Giro di vite, con quegli amanti terribili e quei bambini indifesi. E naturalmente Stephen King e i suo amici: le gemelline del corridoio possono dare l'idea. Bisogna conoscerle come si conoscono le storie del lupo cattivo, di Barbablù e della strega che rinchiude Hansel e lo fa ingrassare. Perché sono storie vere, perché i fantasmi esistono come esistono i cattivi. Allora bisogna stare all'occhio, in entrambi i casi e saper riconoscere malvagi e spettri, che abbiamo intorno e dentro di noi. Se non crediamo ai fantasmi non capiremo mai che siamo a volte guidati da forze oscure (o luminosissime) e non sapremo combatterli o farci accompagnare. Non capiremo la storia e quanto aleggi tutta intorno a noi, spingendoci e confondendoci. I fantasmi esistono, ce li portiamo in giro e a volte ci tirano verso luoghi desolati. Oppure ci salvano, o chiedono aiuto. Per fortuna qualcuno li porta alla luce e ci ricorda di guardare bene cosa teniamo nascosto laggiù in cantina.



E questo lo consiglio proprio a tutti. Storia di un lutto da elaborare, di una comunità chiusa in se stessa, di segreti da svelare, di una bambina da salvare, di sogni che sono viaggi nel tempo e nel proprio intuito, del mestiere di scrivere, di vecchi che non mollano il potere. E di fantasmi, ma quelli veri, che ti alitano sul collo e ti lasciano messaggi scrivendo con la farina, che sussurrano nella notte e piangono lungo le tubature della casa. Una casa che chiama, con la voce di una cantante nera di cui non sono rimaste registrazioni: non è che un ballo campagnolo, zucchero, non è che un giro giro tondo.
Stephen King fa lavorare i suoi ragazzi laggiù in cantina che vanno a cercare nei luoghi nascosti e portano alla luce i loro tesori, come il poeta tuffatore del porto sepolto di Ungaretti. Si va in fondo, e si ritorna alla luce: poi si disperdono i canti.
Infine: questo è un romanzo sulle ossa pieno di vita; mette voglia di cantare. Sali in giostra, direbbe Lansdale, qui si parte sul serio. Ma non aver paura, zucchero, è solo un giro giro tondo.