venerdì 8 gennaio 2016

Servabo di Luigi Pintor (1991)

Le "memorie di fine secolo" di Luigi Pintor consistono, volutamente, di poche pagine; l'idea di fondo è che le parole siano sempre troppe, così come i libri. Un presupposto non di posa snob, ma profondamente sentito e trasmesso attraverso una sobrietà di racconto che coincide perfettamente con il sentire trasmesso. una intera vita, densa di avvenimenti e di attività ci viene narrata  con raffinata densità. Lo sguardo è lontano, può cogliere l'insieme ed isolare le tracce necessarie. la guerra e la morte del fratello, motori di un destino segnato fino alla fine; l'impegno politico, la scelta di parte, lo sforzo di ricordare cosa significhi stare nella parte di campo degli sconfitti, dei più poveri, dei lavoratori; la vita affettiva e individuale, mai slegata dal paesaggio collettivo. Una vita esemplare, si sarebbe tentati di pensare: ma non sarebbe d'accordo l'autore, che lascia intravedere anche i fallimenti. Ogni pagina c'è una frase da tenere, un pensiero da far proprio: e quel poco che è scritto basta eccome, per capire quel che bisogna capire. Alla fine, tutto si potrebbe riassumere così: "Non c'è in un'intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un'altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi."

Qui la lettera testamento del fratello Giaime.

"Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze acquistate nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili. Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi, e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che i morti seppelliscano i morti." 


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