martedì 3 gennaio 2017

Simone Weil di César Brie

Due corpi, su un palcoscenico quasi spoglio e buio, per raccontare la vita è l'anima di Simone Weil, filosofa, sindacalista, combattente, mistica. César Brie è la voce narrante che circonda di affetto la giovane donna, la contiene, la accudisce, la accoglie: è l'infermiere che si prende cura di lei nei giorni della sua agonia, quando si lascia morire nella folle idea di condividere il dolore del mondo attraverso le privazioni;è il padre, che tenta di convincerla a preservarsi e la cura per mesi e mesi, salvandole la vita dopo l'esperienza spagnola; è il poeta Joe Busquet, che la incontra una sola volta ma che sarà il destinatario di lettere nelle quali Simone gli confida la sua conversione al cristianesimo; è il gesuita che vorrebbe dare il battesimo e la comunione, ma che lei rifiuta, perché la sua idea di cristianesimo non può accettare la Chiesa; infine è di nuovo l'infermiere, che tenta fino all'ultimo di farle accettare un sorso d'acqua.
Simone è indomabile, lucidissima, intransigente: ha impressa nel cuore l'immagine di Carlo Magno nel deserto che versa a terra l'acqua che gli viene offerta, un privilegio per il condottiero che lui non accetta perché avrebbe significato rompere l'unità tra sé e l'esercito. Simone seguirà fino in fondo, questa strada, con una volontà che nessuno saprà addolcire, né condurre a più miti percorsi; non si ferma, Simone, neppure per il padre e la madre che la rincorrono e la curano dopo ogni sua battaglia: dopo il lavoro in fabbrica, dove si distrugge di fatica per capire cosa significa essere operaio e sfruttato; dopo l'esperienza tra i combattenti repubblicani in Spagna, quando la pacifista Simone decide che sarebbe insopportabile rimanere in disparte di fronte a quel che sta accadendo; dopo le polemiche che suscitano i suoi scritti contro le repressioni in Russia e la sua profetica visione di quel che accadrà in Germania.
Simone combatte, dorme poco, mangia poco; e intanto continua a scrivere, a studiare. L'Iliade, il poema della forza, nel quale ritrova tutte le forme in cui un essere umano può essere ridotto a cosa ma anche tutte le forme dell'amore, in ogni sua sfumatura, fino all'estremo, quel legame tra Achille e Priamo che consente al padre distrutto di ammirare la bellezza dell'assassino del figlio e al guerriero feroce di sentire la dignità e la grandezza di quel nemico che si inginocchia supplice ai suoi piedi.
Catia Caramia dà corpo a Simone, mostrandoci i suoi occhi accesi, la sua allegria, la sua voglia di vita; occupa lo spazio sempre in movimento, sfuggendo al letto, all'abbraccio, al conforto; Cesar Brie tenta di contenerla con gesti di un amore dolcissimo, senza riuscire. La tazza è versata a terra, il letto attraversato, l'abbraccio scansato per la fiammata di una nuova visione.
I folli di Shakespeare chiudono il discorso: la verità nella forma più pura lambisce il confine con la pazzia e nessuno dà ascolto ai folli. Inascoltata, fedele a sé stessa, lucidamente folle, Simone si congiunge infine con la moltitudine dei sofferenti annullandosi. Polvere alla polvere, o acqua gettata nel deserto.

Sulla lapide di Simone Weil, un misterioso epitaffio recita così: "La mia solitudine l'altrui sofferenza ghermiva fino alla morte". È firmato C.M. è da quelle iniziali César Brie ha immaginato l'unico personaggio di invenzione sulla scena, un infermiere italiano comunista, Carlo Manfredi, che assiste Simone nell'ospedale del Kent dove la donna muore, a 34 anni, il 24 agosto del 1943.

César Brie, regista e attore di teatro argentino, si è rifugiato in Italia negli anni della dittatura; da allora la sua vita e il suo lavoro si dividono tra il nostro paese è l'America Latina.

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