domenica 15 gennaio 2017

Il fucile da caccia di Inoue Yasushi


'L'uomo è una stupida creatura che dopotutto aspira ad essere conosciuta da qualcuno"

Il famose breve romanzo di Inoue Yasushi, pubblicato nel 1949 dal giornalista e poeta giapponese, è un testo di perfetto equilibrio costruito con una prosa scorrevole e pulita e strutturato sui molteplici punti di vista attraverso la tecnica dell'epistolario.
Il racconto si apre con la voce del narratore, tipica figura di testimone di seconda mano, che racconta di come si sia trovato a scrivere una poesia per una rivista di caccia; non avendo nessuna passione per quella pratica risolve il problema descrivendo la figura di un cacciatore intravisto durante una passeggiata, adatta ad esprimere una sorta di associazione tra il fucile da caccia e la solitudine. Il cacciatore è accompagnato da un setter, lungo un sentiero ghiacciato, con un Churchill a doppia canna: ricorda un guerriero splendente e solitario, sempre solo, in luoghi deserti, calmo e freddo, accompagnato dal fucile gli preme sul fianco: scava, quel fucile, nella carne e nello spirito di quell'uomo solitario.

'Da quel giorno all'improvviso mi accade, nelle stazioni delle città, /nelle strade affollate di notte,/ di pensare: Ah, potessi camminare anch'io come lui! /Con quel passo così lento, calmo, freddo. /E ogni volta nei miei occhi chiusi /a fargli da sfondo non è il ghiacciato paesaggio del monte Amagi all'inizio d'inverno / ma il bianco alveo di un fiume desolato, chissà dove. / Il suo fucile da caccia, lucido e splendente, gli preme sul fianco / scavando nello spirito solitario, nella carne solitaria / di quell'uomo di mezza età. / E una strana bellezza, umida di sangue, /emana da lui in quei momenti, / invisibile mentre punta il fucile sulle sue prede."

Questa è la prima delle varie immagini attorno a cui ruota la vicenda, che si sviluppa attraverso quattro lettere. Infatti, in seguito alla pubblicazione della poesia, un certo Misugi Josuke, scrive al poeta per rivelargli che si è riconosciuto in quel ritratto e che, sentendosi compreso, ha provato per la prima volta lo stupido desiderio di far conoscere a qualcuno la propria storia. Per questo gli ha inviato, in busta separata, tre lettere a lui scritte da tre donne, attraverso le quali il poeta potrà ricostruire la trama della parte centrale della sua vita.
 La busta contenente le lettera arriva ed il poeta decide di trascriverle: la prima è stata scritta dalla nipote di Misugi, la giovane Shoko, la seconda dalla moglie di Misugi, l'ultima dalla madre di Shoko, la bellissima Saiko, amante di Misugi.
Ognuna delle donne racconta una parte della storia e soprattutto offre il proprio punto di vista, svelando sentimenti che per tanti anni sono stati completamente taciuti.
La tecnica della suspence, affidata ai diversi punti di vista, funziona e si rimane in attesa costante di conoscere i particolari di questo classico triangolo familiare. La rigidità di certi comportamenti ricorda il triangolo de Le Braci di Marài, vite che bruciano silenziosamente, mentre il silenzio avvolge i loro movimenti controllati.
Ma alcune immagini svelano poco a poco una ricchezza che il testo rilascia in un secondo tempo, dopo la lettura.

'Da bambina, alla festa del tempio Shoten a Nishinomiya, una volta qualcuno mi comprò un fermacarte, un fiore finto, rosso, in una palla di vetro. Cominciai a camminare tenendolo in mano, ma dopo un poco scoppiai a piangere. Probabilmente nessuno allora capì che cosa mi fosse successo. Avevo pensato alla sensazione dei petali di quel fiore, paralizzati, imprigionati all'interno del vetro freddo, petali che nessun vento di primavera o di autunno avrebbe più fatto tremare, petali crocifissi, e il mio cuore si era riempito di una terribile tristezza'.

L'immagine di Shoko, che vede l'amore proibito e segreto come un fiore imprigionato nel freddo, il giovane siriano cresciuto tra le antilopi che fa fremere la moglie di Misugi, i serpenti osservati da Saiko e Misugi ed associati alla parte nascosta di ognuno di loro, il sari indossato da Saiko in attesa della morte: l'alveo solitario del fiume in cui il poeta ha immaginato il cacciatore: dipinti ad acqua (sono giapponesi, saranno acquerelli, no?) che arricchiscono il testo di dettagli e significati non esplicitati diversamente.

Un romanzo lontano da noi, che a tratti risulta di eccessiva rigidità, ma che mi sembra possa ancora affascinare:  la domande chiave (amare o essere amati?) apre comunque la conclusione della storia ad una interpretazione non scontata. Inoltre la  figura del cacciatore solitario e del suo fucile, continua ad aleggiare intorno alle parole delle donne senza concedere altro che il suo allontanarsi silenzioso e solitario. Il suo vuoto e il suo silenzio sono il centro attorno cui nascono le parole delle donne e lasciano a noi il compito di immaginare il significato del suo sottrarsi

Nessun commento:

Posta un commento