lunedì 31 luglio 2017

Il nido di Tim Winton


Australia, uno sfondo da cartolina: mare, natura, sole. Tom Keely è un uomo allo sbando: ha perso il suo lavoro di stimato ecologista per un gesto impulsivo che l'ha portato ad una accusa di diffamazione; ha perso la sua vita matrimoniale dopo che la moglie ha scelto di non portare a termine una gravidanza problematica e indesiderata; ha perso l'equilibrio e vive ai margini della sana e solare società australiana. Si è chiuso nel suo nido, all'ultimo piano del Mirador, un grattacielo abitato da persone che non sono riuscite ad entrare nel circolo virtuoso del benessere economico. Da lassù guarda l'orizzonte, contempla cielo e mare, in uno stato confusionale da abuso di alcool, droghe e psicofarmaci: dal suo nido non esce volentieri, il contatto con la gente lo confonde e lo irrita, il progresso pagato al prezzo della devastazione ambientale lo disgusta. Se ne sta chiuso là in cima, lontano da tutti, ad ascoltare il vento in bilico sul precipizio. Quando scopre che una sua vecchia conoscenza abita in un appartamento vicino cerca di sfuggire ad ogni rapporto: ma Gemma ha con sé il nipote Kai, un bambino segnato da una vita persa in partenza e Tom lentamente si avvicina al loro mondo. D’altra parte sono degli sconfitti, come lui. Quella che in partenza sembrava la storia di un idealista in lotta contro il potere si sviluppa invece in modo più profondo e pone al lettore domande centrali: cosa significa essere perdenti? Qual è la misura giusta nel combattere per una buona causa? Quanto ci si può avvicinare ai vinti senza rischiare di farsi trascinare nel gorgo insieme a loro? La famiglia di Tom Keely (il padre, la madre, la sorella) sono sempre riusciti a dedicarsi alle cause giuste senza perdere una briciola della loro posizione sociale; l'inutile idealismo di Tom, che gli ha rovinato la carriera, la vitalità esuberante e rabbiosa di Gemma, il dolore di Kai che lascia intravedere un futuro problematico, non sono allo stesso livello perchè portano i segni evidenti di chi non riesce a corrispondere alle aspettative della società. Bellissimi ritratti di personaggi ai quali ci si affeziona lentamente ma profondamente, in particolare un bambino che si vorrebbe abbracciare e una donna che non ha nessuna carta buona da giocare ma nessuna intenzione di darsi per vinta. La domanda che lascia il romanzo, alla fine della lettura: quanto siamo disposti a perdere per combattere le nostre battaglie?

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