martedì 30 agosto 2016

Purity di Jonathan Franzen

L'architettura di Purity è eccellente: l'intreccio è complesso e avvincente, in bilico tra romanzo sociale, storico, distopia e finezza introspettiva. Dalla Repubblica Federale Tedesca oppressa dalla Stasi al 'paradiso' del Belize come centro di lotta per la 'trasparenza' delle informazioni, le linee narrative si snodano seguendo avanti e indietro nel tempo la storia di Pip, Anabel, Tom e Andreas.
La giovane Purity, soprannominata Pip, è la voce più giovane del romanzo: cresciuta con una madre decisamente strana e che non le ha mai rivelato l'identità del padre, la ragazza accetta un invito misterioso per uno stage in Belize, alle dipendenze di un leader carismatico e ambiguo, impegnato nella diffusione in rete di documenti segreti, in nome della trasparenza e dell'idealismo. Ma Andreas Wolf nasconde una storia tormentata e la sua vicenda si intreccia con quella di Purity;  l'intreccio si basa su questo convergere di tutti i personaggi verso un punto d'incontro, un qualche segreto che è la merce di scambio nella lotta per il potere.
Come nei precedenti romanzi di Franzen, molte sono le pagine angoscianti: i personaggi sono invischiati in relazioni malate e in rapporti di dipendenza,  le discussioni sono spesso gorghi nei quali le parole trascinano verso la follia. Non a caso, il rumore di una pallina da tennis contro il muro  sarà per Pip il suono della serenità: un suono senza significato, ripetitivo e rassicurante come quello della pioggia sui tetti.
dal punto di vista del  romanzo 'sociale' non saprei dire se Franzen sia riuscito nel suo intento: la denuncia dei social network come nuova forma di dittatura colpisce nel segno e mi è piaciuta la contrapposizione tra giornalismo 'alla vecchia maniera' e i fantasmi alla Julian Assange. Ma il centro degli interessi di Franzen mi è sembrato ancora una volta il nucleo delle relazioni affettive e sessuali: i ritratti  di alcuni dei  personaggi sono impietosi, tanto da risultare a tratto disgustosi.
Sulle donne, in particolare, Franzen si accanisce con crudezza, forse perché sono al centro di ogni vicenda, ed è per amore e odio di madri e compagne che si muovono gli uomini del romanzo, in perenne lotta tra fuga e legame. Donne, ad esclusione della giovane Pip e dell'unica non-madre della vicenda, che sono, in generale, piuttosto fuori di testa. Centrale e perfetto il  ritratto di Anabel, donna umorale e 'lunatica':  la vita sessuale di Anabel è letteralmente legata ai cicli della luna e ai cicli mestruali, la sua arte è un'arte di ossessiva e fallimentare esplorazione del proprio corpo, la sua debolezza l'arma che lega a sé, la maternità la sua forza e il suo ricatto. Le altre non sono da meno: sottraggono figli ai padri legittimi, tengono incatenati i figli con ricatti, sensi di colpa e malattie 'disgustose': le metafore della casa come stomaco, tutto acidi e dolori, e della madre-colon, talmente segnata dall'emotività da ammalarsi di colite, così che Franzen può descriverla come produttrice di puzza, feci e sangue, sono piuttosto esplicite. Il femminismo è spesso associato a questi estremi di malattia e non senso, capaci di generare negli uomini altrettanta follia, a meno che non fuggano in tempo. È un ritratto che non ho amato, ovviamente, anche se il punto di vista cambia diverse volte nel romanzo e la tenerezza di Pip verso le debolezze degli adulti riscatta in parte lo sguardo ossessionato di altri personaggi.
È un grande romanzo? Sì, per capacità tecnica, costruzione, capacità di coinvolgere e trasmettere emozioni (ansia, soprattutto, rabbia, barlumi di pietà e molta ironia). Che sia poi un ritratto dell'oggi, degli Stati Uniti oggi, non saprei ma non credo: mi sembra più il ritratto di quello che l'autore odia, o di cui è ossessionato, come poi in parte succede sempre. Non ha quasi niente a che vedere con il mio sguardo sulle cose, ne riconosco la bravura ma no, non suona per me, questa voce: mi vien voglia di scappare lontano lontano.

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