giovedì 2 febbraio 2017

Il nascondiglio di Cristophe Boltanski

Cristophe Boltanski, reporter francese, ha scritto un bellissimo romanzo sulla storia della sua famiglia paterna: nel 2015 ha vinto il Prix Fémina ed è appena stato pubblicato in Italia da Sellerio.
È una famiglia di uomini e donne brillanti conosciuti nell'élite culturale della capitale francese, ma non solo: Christian Boltanski, zio dello scrittore, è un'artista di fama internazionale, lo zio Jean Elie è stato un linguista, il padre Luc Etienne un sociologo, il nonno Étienne un medico, la nonna Myriam è stata scrittrice, la zia Anne scrittrice e fotografa.

Cristophe ricostruisce il percorso della famiglia mettendo al centro della struttura la casa di Rue de Granelle dove ancora vivono alcuni dei familiari; è il luogo in cui  si svolse quasi completamente la vita di un nucleo talmente coeso e compatto da sembrare a tratti un unico essere vivente a più teste e a molte gambe e braccia che si sostengono a vicenda.
Si inizia dal cortile, dalla Cinquecento parcheggiata e dagli assurdi viaggi tutti stipati in quello spazio stretto, per portare il nonno Étienne al lavoro o per fare un viaggio fino a Odessa. A partire dal cortile e dall'auto si scopre una famiglia che si muove in gruppo, come un unico corpo, tutto intorno alla Mère-Grand Myriam, che cammina a fatica causa poliomielite ma guida a tutta velocità quasi per ribellarsi all'immobilismo al quale è costretta.
Sembra lei il motore immobile attorno al quale gli altri cercano la loro posizione, adattandosi a farle da appoggio o passeggero, facendosi portare e supportandola a seconda del caso.
Ma procedendo di stanza in stanza, la casa assume sempre più il ruolo di protagonista, fino ad arrivare al suo centro, al nucleo nascosto, al grembo che ha generato una storia, una mitologia, una malattia, tanta creatività. È il rifugio, la 'cache' (come nel titolo originale), il nascondiglio nel quale il nonno Étienne cercava raccoglimento e solitudine nella sua tendenza al ritiro; ma ancora più nascosto, invisibile a tutti, c'è il vero cuore vuoto, la vera 'cache' della narrazione: un ambiente di pochi metri quadrati, nel quale Étienne rimase nascosto quasi due anni, quando in Francia vennero applicate le leggi razziali più estreme. Una reclusione dalla quale non si riprese mai del tutto e che si saldò con l'immobilismo vitalissimo della moglie: da quel nascondiglio emerse una famiglia consolidata nella sua diffidenza, nella sua paura verso il mondo.


"Avevamo paura. Di tutto, di niente, degli altri, di noi stessi. Del cibo avariato. Delle uova marce. Delle folle e dei loro pregiudizi, dei loro odî, delle loro bramosie. Delle malattie e dei mezzi impiegati per contrastarle. Della compressa ingerita dopo un’attenta lettura del dizionario Vidal. Dell’asfissia con il gas di città. Degli annegamenti in mare. Di una valanga in montagna. Delle macchine. Degli incidenti. Della gente in divisa. Di chiunque fosse investito di un’autorità, dunque del potere di nuocere. Dei moduli ufficiali. Dei ricorsi amministrativi. Della piccola come della grande storia. Delle gioie ingannevoli. Del bianco che presuppone il nero. Delle persone oneste che, a seconda delle circostanze, possono trasformarsi in criminali. Dei francesi che si definiscono buoni, in contrapposizione a coloro che giudicano cattivi. Dei vicini indiscreti. Della reversibilità degli uomini e della vita. Del peggio, perché è assicurato. Questa apprensione la mia famiglia me l’ha trasmessa molto presto, quasi alla nascita."

La casa e la madre coincidono nella patologia del cordone ombelicale mai reciso, nella camera in cui si dorme tutti insieme, perché solo insieme si può affrontare la notte, le tenebre, la separazione del sonno. Ma il percorso prosegue, muovendosi verso l'alto e contemporaneamente verso il futuro: la soffitta nella quale Cristopher elabora tutta la sofferenza della famiglia impastando palline di terra, raccogliendo oggetti-ricordo, iniziando a lavorare sul tema della biografia e della memoria come costruzione privatissima è universale, allo stesso tempo. Perché è storia di tutti, il voler fermare la memoria ed il sapere che niente rimane: come i battiti di una moltitudine di cuori registrati e archiviati su un'isola giapponese dall'artista, che rimangono come traccia di vite che non ci sono più, non sono più in quel luogo, forse non pulsano più.

In soffitta, come un innesto, il padre Luc aveva costruito al giovane Cristophe una casetta: un nido, ancora una volta un rifugio, dentro una casa che è tutta modellata sulla chiusura; ma lassù il ragazzo può immaginare una fuga sui tetti, protetto dai fantasmi che lo zio sciamano controlla sotto di lui. Ed entrambi, insieme a tutti gli altri, trovano dai loro nascondigli la voglia e la spinta per vivere ed uscire nel mondo. Senza mai dimenticare il male, che è sempre in agguato. E ricominciando ancora una volta a raccontare, perché la potenza della narrazione e del lavoro sulla propria storia sono l'unica strada per nascere ancora una volta, venire al mondo con le parole e la creazione e parlare dei pochi, per parlare di tutti. Ostinandosi a 'dar forma a una materia' che per sua natura si sfalda, nel bene e nel male.

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