martedì 7 febbraio 2017

Una cosa che volevo dirti da un po' di Alice Munro

L'ultima raccolta di racconti di Alice Munro pubblicata in Italia nel 2016, 'Una cosa che volevo dirti da un po' ' corrisponde alla seconda raccolta dell'autrice, pubblicata nel 1974.
Oggi Alice Munro è giustamente molto conosciuta e tanto è stato detto e scritto sui suoi splendidi racconti e sulla qualità del suo stile: questa raccolta è una conferma, a posteriori, che lo sguardo era già allora quello che conosciamo e che la Munro possedeva già tutti gli strumenti per raccontarci il mondo illuminato da quella luce obliqua e a tratti diretta che abbiamo imparato ad amare.
I personaggi lo riconosciamo, pur nella loro individualità precisa e concreta: sono soprattutto donne, anziane sedute sulla veranda a guardare la nipote, ragazzine alle prese con il primo innamoramento, amanti di uomini sposati, donne appena separate, con bambini e un nuovo compagno, donne che scrivono tra la spesa ed i figli, mamme svagate o determinate; intorno a loro uomini dolci, affascinanti, freddi, inaffidabili, intelligenti. I rapporti tra di loro, sempre in primo piano, tra appartamenti con guasti alle tubature, baracche poverissime, case di campagna con lavatrice e asciugatrice, una periferia nella quale si parla della città come un mondo vicino e frequentato ma anche irraggiungibile.

Gli incipit, come sempre, ci buttano dentro ad un discorso già iniziato, ad un frammento di conversazione, ad un pensiero che prosegue. In Materiali entriamo direttamente nelle riflessioni della voce narrante, senza ancora sapere nulla del suo mondo.

“Non riesco a star dietro agli scritti di Hugo. Certe volte, in biblioteca, vedo il suo nome sulla copertina di una rivista letteraria di quelle che non apro – sono ormai dodici anni che non apro una rivista letteraria, grazie a Dio.”

Quello che abbiamo davanti non è un mondo, ma una mente: la mente di una donna che segue un suo filo invisibile e si racconta, ci racconta, una storia senza seguire un ordine cronologico, passando dall'oggi al passato senza preavviso, per poi tornare a un momento più vicino, sempre nel passato e poi all'oggi, di nuovo. Ogni passaggio è una sorpresa, ogni deviazione lascia qualcosa di non detto, un minuscolo enigma che ci lascia in sospeso.

Il racconto, in questo caso, prosegue con velocità e ci informa dei fatti: Hugo è stato il primo marito della protagonista, hanno una figlia che lui ha completamente abbandonato, troppo preso dalla carriera come scrittore, dai due successivi matrimoni e dai sei figli che ne sono nati.
Comprendiamo così meglio il disprezzo con cui X aveva proseguito la sua riflessione sull'attività dell'ex-marito, spesso invitato a tenere conferenze.

“Allora mi chiedo, ma la gente ci andrà davvero, la gente che potrebbe andare in piscina, o a bere qualcosa, o a fare una passeggiata, si trascinerà davvero fino al campus per cercare l’aula giusta e sedersi in fila ad ascoltare quei palloni gonfiati litigiosi? Uomini pieni di sé, trasandati, supponenti, è così che li vedo, viziati dalla carriera accademica, da quella letteraria, e dalle donne. La gente va a sentirli dire che il tale scrittore non bisogna più leggerlo, e il tal altro invece sì; a sentirli liquidare uno e incensare l’altro, e bisticciare e ridacchiare e provocare. Dico gente, ma intendo donne in realtà, signore mature, come me, vigili e tremebonde, che sperano di formulare domande intelligenti e di non rendersi ridicole; ragazze dai capelli morbidi, grondanti adorazione e smaniose di incrociare lo sguardo di uno degli uomini sul palco. Le ragazze, e anche le donne, si innamorano di uomini così, li immaginano depositari di un certo potere.”

Nel frattempo la narratrice ci ha parlato del suo attuale marito e del legame diversissimo che ha con questo tranquillo ingegnere rumeno rispetto al litigioso e appassionato primo matrimonio.
Il punto centrale del racconto è un fatto avvenuto quando lei e Hugo, appena sposati, vivevano in un appartamentino in affitto: sotto di loro viveva una donna, che ora la donna ritrova in un racconto di Hugo, in una raccolta appena pubblicata. La meraviglia di trovare quel loro ricordo comune trasformato in personaggio la porta a rivedere il passato alla luce di questa scoperta: ripensa all'episodio che ha determinato la rottura del suo matrimonio e riconosce a se stessa gli errori fatti.
La chiusura ritorna al presente, al secondo marito - e all'improvviso la contrapposizione tra i due si trasforma in somiglianza.

“Al tempo stesso, a tavola, guardando mio marito Gabriel, mi sono resa conto che lui e Hugo non sono poi così diversi. Tutti e due sono riusciti a concludere qualcosa. Entrambi hanno deciso come reagire a tutto ciò che incontrano in questo mondo, che atteggiamento assumere, come ignorare o utilizzare gli eventi. In un loro modo provvisorio e limitato, tutti e due hanno autorevolezza. Non sono alla mercé. O pensano di non esserlo. Non li posso biasimare, se cercano di sistemare le cose a modo loro.”

Ma poco dopo: 'Li biasimo, invece. Li invidio e li disprezzo'

Ho provato a seguire uno dei racconti per vedere meglio come funzionano e mi sembra di aver capito ancora una volta che la Munro scrive storie in cui quello che è in primo piano non sono i fatti in sé stessi, ma i fatti come li ricordiamo o dimentichiamo, come li ripensiamo rispetto al passare del tempo e alle nuove esperienze. Sono racconti su cosa ci raccontiamo, come lo raccontiamo e cosa ci nascondiamo, o dimentichiamo. Su come funziona la nostra mente, nel suo incessante lavoro di interpretazione del 'reale' e su quanto è instabile, parziale, soggettiva nel suo lavoro.
E riesce a farlo raccontando anche i fatti: le cose sono vive, concrete, visibili; il campo d'atterraggio dell'aereo, la barca rovesciata nel fiume, la ragazza dal braccio monco, il giovane hippie che sogna di camminare sulle acque. Ma il punto rimaniamo noi, il nostro girare incessante intorno ad alcune cose, alcune persone, cercando di afferrare qualcosa che non si lascia prendere ma neppure ci abbandona.





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