sabato 11 febbraio 2017

Preghiera per Černobyl’di Svetlana Aleksievič

«Questo libro non parla di Černobyl’ in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Černobyl’ è un mistero che dobbiamo ancora risolvere... Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi. Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Černobyl’ è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la terra. Tutto il loro tempo. Questi uomini e queste donne sono stati i primi a vedere ciò che noi possiamo soltanto supporre... Più di una volta ho avuto l’impressione che in realtà io stessi annotando il futuro».

Svetlana Aleksievič ci porta a Černobyl, nei giorni e nei mesi immediatamente successivi al guasto della centrale nucleare situata in territorio russo, ai confini tra Bielorussia ed Ucraina. Le voci che ha raccolto nei suoi tre anni di lavoro riescono a farci vivere quei giorni in cui buona parte del nostro mondo rischiò di scomparire. Per gli uomini e le donne che lavoravano alla centrale, o vivevano nella zona, o furono mandati sul posto per arginare il disastro, quei giorni non sono mai finiti: chi di loro è sopravvissuto non è mai più uscito da quell'incubo. Sono uomini e donne e bambini di Černobyl, questa per sempre la loro identità. La portano nel DNA , marchio invisibile ma indelebile; la portano nei pensieri, nei sogni, nei rapporti con gli altri. Hanno perso compagni, figli, amici; hanno visto la loro vita azzerarsi, in poche ore: niente più casa, né un paese a cui tornare un giorno, né lavoro, né futuro: fare figli? Non è il caso. Innamorarsi? Chi potrebbe avvicinarsi? Portatori di morte, per sempre, chiusi in un limbo in cui ci si capisce solo tra adepti. Parlare con gli altri? È perché? Come potrebbero mai capire? È oramai, dopotutto, cosa importa?
Un mare di voci che ci raccontano quei giorni in cui tutto perse senso: come si può trovare un senso a ciò che non puoi percepire? Il mondo sembrava lo stesso di sempre, eppure qualcuno diceva loro di non raccogliere le patate, né la frutta, di non mangiare la carne degli animali: e cosa dovevano mangiare, se non avevano altro? E così mangiavano, qualunque cosa, tanto si era sparsa la voce che la vodka fosse perfetta per combattere le radiazioni. Arrivava qualcuno ed ordinava loro di salire su un pullman, di lasciare tutto e partire. Ma come si poteva partire lasciando la casa e l'orto e le bestie? Per andare dove? Arrivava qualcuno e ti diceva che dovevi andare alla centrale, a dare una mano, c'era da tenere sotto controllo la situazione per evitare ulteriori problemi che avrebbero potuto distruggere buona parte dell'Europa. Moltissimi andarono: non potevano perdere il lavoro, non capivano davvero il pericolo, non volevano tirarsi indietro di fronte alla richiesta dello Stato: se si doveva fare, andava fatto. Andarono con mascherine di garza e poco altro, spalarono a mani nude, volarono in elicottero sopra il reattore. Sotto di loro giocavano i bambini e avrebbero voluto avvertirli, ma come fare? Intanto qualcuno approfittava, come sempre: entrava nelle case abbandonate e si portava via tutto; buona parte di quello che riuscirono a prendere venne rivenduto, e chissà dove ha girato. Qualcun altro rientrava di nascosto a casa, attraverso il bosco, per prendere qualcosa che non poteva abbandonare o per rimanere a morire lì, piuttosto che perdersi altrove. E tutto intorno la natura, alberi, frutta, uccelli, i cani, i gatti, i cavalli, le mucche: una sensazione di vicinanza, come mai prima.

'Prima non consideravamo nemmeno questo mondo che è attorno a noi, per noi era come il cielo, come l'aria, come se qualcuno ce l'avesse dato una volta per tutte, e non dipendesse da noi. Tanto era per sempre'.

Ma il sempre, come molte altre parole, non è più per la terra: il sempre va bene per le radiazioni, che hanno tempi di scomparsa da far girare la testa. E allora, tanto vale lasciar perdere. Se la realtà non è più comprensibile, tanto vale buttare giù un po' di vodka e raccontarsi un'altra barzelletta. Ne sono nate moltissime, sull'argomento; insieme ai miti sugli animali a tre teste sembravano essere le uniche forme di racconto possibili. Oppure c'era il silenzio.
O la preghiera.

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