martedì 19 giugno 2012

Il centro del mondo,Karahasan Dzevad


Dietro le palpebre chiuse, ho visto come Sarajevo, così distrutta e così amata, amata come mai prima d'ora, si sollevava da terra, iniziava a volare e volava via, volava là dove tutto è placido e beato, volava nella più profonda interiorità della realtà, là dove può essere amata e sognata, là dove ci può ridare la luce di una percezione di senso e di scopo.


Una città che non esiste più ma che in un certo senso è più reale di prima. Nel cuore di Karahasan, che la vede perdersi giorno dopo giorno, si trasferisce in un'altra dimensione, dove niente potrà più toccarla. Poteva solo fare questo, lo scrittore, chiudere gli occhi e al tempo stesso tenerli bene aperti, per vedere tutto, ricordare tutto e ricamarsi nella mente la trama di quel luogo amato con lo strazio di chi lo vede morire. Il centro del mondo, è un libro sulla guerra che si apre con un capitolo dedicato al "ritratto interiore" di una città, una dichiarazione d'amore per qualcosa che sta scomparendo. Una necessità, lo scriverne; ed un regalo per tutti noi, che non l'abbiamo potuta mai vedere così. Merita davvero, ascoltare le parole di Karahasan, che possiamo immaginare seduto in camera con rumori di spari in sottofondo, o nel silenzio della sua casa da esule, in Austria, dove la sensazione di morte si fa più feroce. E per questo è necessario aggrapparsi alle parole, afferrare il filo e cercarne l'inizio, con lentezza e precisione. Occhi chiusi - ed occhi aperti. Sarajevo è la città più grande e più importante della Bosnia - Erzegobina, da tutti i punti di vista una tipica città bosniaca, fondata nel 1440 da Isa bey Ishakovic. Costruita nella valle del fiume Miljacka, circondata da montagne che quasi la recingono, isolata dal mondo, difesa da tutto ciò che le è esterno e completamente ripiegata su se stessa. Sarajevo, potremmo dire, è come divisa in due zone: il centro commerciale, in fondo alla conca e tutto intorno i quartieri - mahale - arroccati ai piedi delle montagne. Il centro è così doppiamente separato dal mondo: dalle montagne, e dalle mahale. Città completamente rivolta verso la propria interiorità, forse per questo, scrive Karahasan, "Sarajevo è diventata ben presto metafora del mondo", centro del mondo, parte per il tutto: "tutto ciò che nel mondo è possibili si trova a Sarajevo", che racchiude idealmente il mondo in una sfera di cristallo. Mescolanza di lingue, fedi e popoli, ha prodotto una forma di cultura specifica che Karahasan definisce "drammatica", cioè costituita dagli stessi elementi che strutturano il dramma, i quali sono opposti fra loro e definiti proprio dalla tensione che li pone uno di fronte all'altro, distinti e legati. In un sistema di questo tipo gli elementi entrano nella composizione senza perdere la loro particolarità, la loro identità; l'Altro è necessario a ciascun membro del sistema come prova della propria identità. Questa è la differenza tra Sarajevo e le "babeliche mescolanze contemporanee delle città occidentali". In questa particolare città i vari elementi che la compongono si rapportano fra loro in un gioco di rimandi e contrasti: aperto - chiuso, esterno - interno. Gioco che si riflette anche nell'organizzazione spaziale della città e la struttura. Ad esempio, il centro geometrico della città è doppiamente chiuso, dalle montagne e dai quartieri: è però' uno spazio in cui non si abita, dedicato al lavoro e al commercio, dunque spazio dell'apertura di ogni etnia nei confronti delle altre. E' qui che ciascuna delle culture delle mahale articola la propria componente universale. "Gli uni accanto agli altri stanno i negozi degli ebrei di Bjelave, dei musulmani di Vratnik, dei croati e degli italiani di Latinluk, dei serbi e dei greci di Taslihan...". Allontanandosi dal centro, verso le montagne, tutti gli abitanti di Sarajevo tornano alla particolarità della propria cultura: ogni mahala è chiusura, chiusa nella cultura che in essa prevale. La mahala è confine del centro e chiusura della cultura, ma è tecnicamente aperta, perchè rivolta alla montagna, così come il centro è tecnicamente chiuso e semanticamente aperto.
Bisogna dopo questo spiegare che un'interezza così fine e così complicata come è Sarajevo, nella quale si riflette come in uno specchio l'intera Bosnia - Erzegobina, deve essere fragile?

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