Dietro le palpebre
chiuse, ho visto come Sarajevo, così distrutta e così amata, amata
come mai prima d'ora, si sollevava da terra, iniziava a volare e
volava via, volava là dove tutto è placido e beato, volava nella
più profonda interiorità della realtà, là dove può essere amata
e sognata, là dove ci può ridare la luce di una percezione di senso
e di scopo.
Una città che non esiste
più ma che in un certo senso è più reale di prima. Nel cuore di
Karahasan, che la vede perdersi giorno dopo giorno, si trasferisce in
un'altra dimensione, dove niente potrà più toccarla. Poteva solo
fare questo, lo scrittore, chiudere gli occhi e al tempo stesso
tenerli bene aperti, per vedere tutto, ricordare tutto e ricamarsi
nella mente la trama di quel luogo amato con lo strazio di chi lo
vede morire. Il centro del mondo, è un libro sulla guerra che
si apre con un capitolo dedicato al "ritratto interiore" di
una città, una dichiarazione d'amore per qualcosa che sta
scomparendo. Una necessità, lo scriverne; ed un regalo per tutti
noi, che non l'abbiamo potuta mai vedere così. Merita davvero,
ascoltare le parole di Karahasan, che possiamo immaginare seduto in
camera con rumori di spari in sottofondo, o nel silenzio della sua
casa da esule, in Austria, dove la sensazione di morte si fa più
feroce. E per questo è necessario aggrapparsi alle parole, afferrare
il filo e cercarne l'inizio, con lentezza e precisione. Occhi chiusi
- ed occhi aperti. Sarajevo è la città più grande e più
importante della Bosnia - Erzegobina, da tutti i punti di vista una
tipica città bosniaca, fondata nel 1440 da Isa bey Ishakovic.
Costruita nella valle del fiume Miljacka, circondata da montagne che
quasi la recingono, isolata dal mondo, difesa da tutto ciò che le è
esterno e completamente ripiegata su se stessa. Sarajevo,
potremmo dire, è come divisa in due zone: il centro commerciale, in
fondo alla conca e tutto intorno i quartieri - mahale - arroccati ai
piedi delle montagne. Il centro è così doppiamente separato dal
mondo: dalle montagne, e dalle mahale. Città completamente rivolta
verso la propria interiorità, forse per questo, scrive Karahasan,
"Sarajevo è diventata ben presto metafora del mondo",
centro del mondo, parte per il tutto: "tutto ciò che nel mondo
è possibili si trova a Sarajevo", che racchiude idealmente il
mondo in una sfera di cristallo. Mescolanza di lingue, fedi e popoli,
ha prodotto una forma di cultura specifica che Karahasan definisce
"drammatica", cioè costituita dagli stessi elementi che
strutturano il dramma, i quali sono opposti fra loro e definiti
proprio dalla tensione che li pone uno di fronte all'altro, distinti
e legati. In un sistema di questo tipo gli elementi entrano nella
composizione senza perdere la loro particolarità, la loro identità;
l'Altro è necessario a ciascun membro del sistema come prova della
propria identità. Questa è la differenza tra Sarajevo e le
"babeliche mescolanze contemporanee delle città occidentali".
In questa particolare città i vari elementi che la compongono si
rapportano fra loro in un gioco di rimandi e contrasti: aperto -
chiuso, esterno - interno. Gioco che si riflette anche
nell'organizzazione spaziale della città e la struttura. Ad esempio,
il centro geometrico della città è doppiamente chiuso, dalle
montagne e dai quartieri: è però' uno spazio in cui non si abita,
dedicato al lavoro e al commercio, dunque spazio dell'apertura di
ogni etnia nei confronti delle altre. E' qui che ciascuna delle
culture delle mahale articola la propria componente universale. "Gli
uni accanto agli altri stanno i negozi degli ebrei di Bjelave, dei
musulmani di Vratnik, dei croati e degli italiani di Latinluk, dei
serbi e dei greci di Taslihan...". Allontanandosi dal centro,
verso le montagne, tutti gli abitanti di Sarajevo tornano alla
particolarità della propria cultura: ogni mahala è chiusura, chiusa
nella cultura che in essa prevale. La mahala è confine del centro e
chiusura della cultura, ma è tecnicamente aperta, perchè rivolta
alla montagna, così come il centro è tecnicamente chiuso e
semanticamente aperto.
Bisogna dopo questo
spiegare che un'interezza così fine e così complicata come è
Sarajevo, nella quale si riflette come in uno specchio l'intera
Bosnia - Erzegobina, deve essere fragile?
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