martedì 19 giugno 2012

Colette, Il mio noviziato


Tengo il libro in una scatola di legno intarsiato, dalla chiusura complicata. La apro solo ogni tanto, quando ho bisogno di farmi un regalo. Di regalarmi pietre preziose. Soprattutto nei giorni in cui mi sembra di scivolare nel disordine - quello infecondo della sciatteria - sento il bisogno di vestirmi, per un attimo, da regina e di adornarmi il capo e le dita di rubini e diamanti. Perchè questo sono per me le parole di Colette. Dure e colorate e preziose, adatte a guarire nei momenti di scoraggiamento. Parole per i tempi della disperazione. Pochi libri, ho trovato finora, da poter collocare in uno scrigno, da tenere sul comodino o nel cassetto: i miei libri sacri.
Il mio noviziato è uno di questi. E' un libro difficile, ma ha la durata del diamante. Ancora mi incanto nel leggere dei mesi che Colette ha passato, in completa solitudine, nella tenuta dei Monts-Boucons. Il marito arrivava per brevi visite, appena il tempo per risvegliare nella donna "la vecchia e normale chimera di vivere in coppia, in campagna...", ma alle sue partenze seguivano lunghi periodi in cui Colette diventava "migliore, cioè capace di vivere di me stessa, e puntuale come se avessi già saputo che la regola guarisce tutto". Buttata all'aria come un petalo di rosa, la frase ha ben altra consistenza: ma questa è Colette, che ha inciso nel sangue il cammino che l'ha fatta donna, e non ha bisogno di annunciarlo con squilli di tromba. E allora la seguo, imparo con lei la solitudine e la pazienza, guardo le rose cariche di pioggia, le foglie rosse dei ciliegi a novembre, la biscia e le galline feroci, i cani e i gatti che seguono il nostro camminare. Lo faccio in silenzio, perchè è l'ora della solitudine e dello studio. Imparo con lei. "Vivere senza felicità e non deperirne: ecco un'occupazione, quasi una professione". Non mi lascio spaventare quando mi pare di procedere lentamente. A volte è necessario. E inoltre, "è bene non badare a dieci anni della propria vita...purchè quei dieci anni siano prelevati dalla prima giovinezza".
E allora la prendo con calma, e mi regalo un'ultima immagine, a darmi coraggio. Nella prima parte del libro, vado a cercare Madame Otero e la sua fame imperiosa, che svuota il piatto quattro o cinque volte. E dopo il caffè, nacchere alla mano, ballo con lei, per ore , ore, ore...

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