martedì 19 giugno 2012

Enrico Deaglio, La banalità del bene - Storia di Giorgio Perlasca


"Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?". Questo è l'incipit che Enrico Deaglio ha scelto per raccontare l'incredibile storia di Giorgio Perlasca, commerciante padovano nato nel 1910 il quale, nell'inverno del 1944, bloccato a Budapest dalla seconda guerra mondiale, riuscì a strappare allo sterminio migliaia di ebrei ungheresi destinati alla deportazione verso i campi di concentramento, spacciandosi per il console spagnolo. Era stato un entusiasta fascista, aveva combattuto in Abissinia ed in Spagna come volontario per Franco: di fronte all'orrore dei "treni della morte" di Adolf Eichmann decise di rischiare la sua vita e ingannando tedeschi e ungheresi organizzò "case-rifugio" e procurò documenti falsi. "Perchè non potevo sopportare la vista di persone marchiate come animali. Perchè non potevo sopportare di veder uccidere dei bambini".


Semplicemente per questo. Banalmente per questo. "Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?" interroga Giorgio Perlasca: come se la sua azione sia stata un'ovvia e banale risposta agli eventi di cui si è trovato testimone. E saremmo tentati di rispondere che anche noi avremmo fatto la stessa scelta, se semplicemente non sapessimo anche fra gli italiani, di fronte alle prime leggi razziali decretate da Mussolini, ci furono solo fugaci "casi di coscienza" bollati dal regime sotto l'etichetta di "pietismo". Forse per questo Giorgio Perlasca dopo il ritorno a casa e la fine della guerra si trovò di fronte un muro di silenzio, di volontà di dimenticare. Era difficile raccontare l'eroica storia di un'opposizione che non c'era stata, molto meglio non raccontare affatto. Per mezzo secolo nessuno si è interessato alla storia di Perlasca, tanto che piano piano egli stesso cominciò a dubitare, e a dimenticare. "Mi dicevo: ma è veramente vero quello che mi ricordo? E' vero quello che è successo agli ebrei di Budapest? E' vero quello che ho fatto in quei mesi?". In tutti questi anni Perlasca chiudeva gli occhi e ricostruiva una storia fatta di date, volti, luoghi. Tutto tornava, corrispondeva: "non mi sbagliavo. Era veramente successo". L'incubo descritto da Primo Levi in Se questo è un uomo, il sogno che tormentava le difficili notti degli ebrei nei campi di concentramento: di essere tornati finalmente a casa, di raccontare con sollievo le sofferenze patite alle persone amate e di non essere ascoltati. Nel sogno gli amici si alzano in silenzio e si allontanano da quegli scomodi racconti. Un incubo che Giorgio Perlasca, non vittima bensì salvatore, ha vissuto fino al 1987 quando un gruppo di donne ebree ungheresi alcune delle quali gli dovevano la vita, decisero di rendergli giustizia e lo rintracciarono. La dottoressa Eveline Blitstein Willinger racconta di aver immediatamente identificato Perlasca come uno dei Giusti. "E' una storia del Talmud, che mio padre mi raccontava quando ero bambina. In qualsiasi momento della storia, ci sono sempre Trentasei Giusti al mondo. Sono nati giusti, non possono ammettere l'ingiustizia. E' per amor loro che Dio non distrugge il mondo. Nessuno sa chi sono, e meno che meno lo sanno loro stessi. Ma sanno riconoscere le sofferenze degli altri e se le prendono sulle spalle...". Così Perlasca è stato convocato a Budapest, dove gli è stato conferito l'Ordine della Stella d'oro, con il parlamento seduto in piedi ad applaudirlo, e a Gerusalemme dove ha piantato un albero nel Parco dei Giusti, nel quale migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli ebrei durante il nazismo. Il libro di Enrico Deaglio, pubblicato da Feltrinelli l'anno scorso, è stato l'occasione perchè la vicenda di Perlasca venisse conosciuta anche in Italia, dove era rimasta nell'ombra: oggi l'uscita del testo in edizione economica è un momento importante per avvicinare altri lettori alla "banalità del bene".



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