mercoledì 7 dicembre 2016

Madame Bovary di Gustave Flaubert


(la soddisfazione delle riletture ðŸ˜Š, scoprire che la bellezza di un romanzo è data, in parte, dalle tante eco che la voce del narratore fa risuonare)

Oh il futuro, orizzonte roseo dalle forme superbe, dalle nubi dorate, là dove il vostro pensiero vi accarezza, e il cuore parte in estasi e che, via via che si procede, come in effetti l'orizzonte, arretra, arretra e sparisce. Ci sono momenti in cui si crede di toccare il cielo, che si stia per afferrarlo con la mano, crac, una piana, un vallo che scende, e si corre sempre trascinati da se stessi per rompersi il naso su un sasso, affondare i piedi nella merda, o cadere in una fossa.'

Così scriveva il giovane Flaubert ad un amico e questo ripete più e più volte nelle lettere: che siamo degli esseri pieni di desiderio e di tensione verso la bellezza ma la vita è un deserto di fango e materia alla quale noi stessi, con la nostra bêtise, contribuiamo. Parola chiave di Flaubert, bêtise: si tratta di una stupidità specifica e molto diffusa, a parere dello scrittore, una sorta di ignoranza, un'incapacità di vedere la realtà per quel che è, il linguaggio dei luoghi comuni e del non-pensiero.
Madame Bovary e tutti gli altri personaggi del famosissimo romanzo partecipano di questa 'bestialità', di questa lettura del reale stupida e conformista. Emma, donna vitale e appassionata, guarda al mondo attraverso le lenti del romanticismo più sciocco: immagina cavalieri, castelli, dame eleganti e drammatiche, gondole e tessuti preziosi come scenari indispensabili al manifestarsi dell'Amore, la passione totale, il fuoco che dovrebbe divampare e incendiarla; il farmacista Homais, uomo pratico ed ottimista, si affida ad una cieca fiducia nelle 'magnifiche sorti et progressive' dell'umanità che Flaubert derideva al pari di Leopardi, in nome delle quali condurrà Charles Bovary ad una operazione pericolosa su di un povero ragazzo zoppo: punto centrale del romanzo, l'intervento che il dottor Bovary viene spinto a tentare provocherà profonda infelicità a Charles ed al ragazzo. Il più 'bestiale' di tutti sembrerebbe proprio lui, il signor Bovary, ritratto fin dall'inizio del romanzo come un ragazzo impacciato, con un ridicolo berretto e maniere da contadino intimidito: ma forse, nella sua natura mite e tranquilla, è meno colpevole di altri dell'infelicità di Emma: più di così non potrebbe proprio fare.
La storia è nota: Emma sposa il medico Charles Bovary dopo aver passato anni in convento e poco tempo a casa con il padre; non sa niente della vita, ma è un essere del desiderio: sogna di essere una moglie soddisfatta ma la realtà la delude; sogna di essere ricca ma ogni passo la porta verso la rovina economica; sogna il grande Amore ma troverà due amanti con i quali reciterà i ruoli contrapposti di dominata e dominatrice, senza che i due uomini facciano per lei quello che desidera e cioè portarla via, fuggire, evadere da quel deserto che è la vita di provincia per collocarla dove si sentirebbe a casa: nel centro del magma (...Parigi!) o nel silenzio dell'infinito ritmo universale (la notte, il cielo stellato, il movimento delle onde). Vorrebbe essere un uomo, Emma Bovary, per non dover dipendere da altri e poter prendere in mano il proprio destino; chissà, cosa ne avrebbe fatto, in quel caso, di tanta ambizione...
Emma ci irrita e non c'è nulla in lei che susciti l'empatia del lettore: recita, mente, è fredda e sprezzante, non riesce neppure ad amare la figlia. Eppure, la trappola in cui la sua vita si trasforma, la sua lunga e dolorosa agonia (Flaubert soffrì di dolori terribili, mentre la scriveva), ci ricordano le nostre trappole e i nostri deserti. La voce di Flaubert ci incanta, nel suo mantenersi in bilico tra distanza e partecipazione, nel suono che produce l'intersecarsi della voce di Emma con il quella del suo burattinaio, che la deride e ride di sé e di tutti noi per la nostra implacabile sete: desiderio puro per l'impossibile nel deserto della vita.
Madame Bovary è prima di tutto 'stile', perché questa era la scommessa di Flaubert che lavorò al testo quasi cinque anni, scrivendo e riscrivendo: tentare una prosa che avesse in sé il ritmo della grande poesia del passato e insieme uno stretto rapporto con il 'reale'. La ricerca della forma, all'opposto della bêtise, ci salva dal vuoto del pensiero e del linguaggio ed è l'unica trascendenza possibile per il cinico Flaubert.

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